Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  luglio 18 Martedì calendario

Oro bianco, i predatori dell’acqua perduta

Viviamo in un Pianeta sempre più interconnesso. Non solo dalle tecnologie, ma anche dalle questioni e prospettive che riguardano il clima, l’ambiente, l’uso e la disponibilità di risorse naturali essenziali. Anche ciò che accade dall’altra parte del mondo non è più qualcosa di molto lontano e che non ci riguarda. E una di queste risorse naturali essenziali è l’acqua. Troppo spesso sprecata, inquinata, maltrattata. Sottovalutandone l’importanza e le qualità dove ce n’è tanta, contesa e sfruttata fino all’ultima goccia dove scarseggia. 
Per porre ancora una volta l’attenzione su questi temi e sul valore del cosiddetto oro blu, al Muse, il Museo delle Scienze di Trento, fino al 10 settembre è stata allestita la mostra Il gigante incatenato. Perché c’è un gigante incatenato, lungo 4mila chilometri, nel cuore dell’Asia. Che si snoda e scivola, come un enorme dragone, tra le strette gole del Tibet e poi tra i monti della Birmania e del Laos, prendendo slancio attraverso le pianure di Thailandia e Cambogia, fino ad arrivare alle coste del Vietnam e nel mare Cinese Meridionale. 
Questo colosso della natura è il fiume Mekong, che in una lingua locale significa «Madre delle acque». È la linfa vitale del SudEst asiatico. 
Ma oggi le sue catene sono 39 mega-dighe, che gli Stati che attraversa stanno già innalzando o hanno in programma di realizzare, per sfruttarne la sua grande forza, l’acqua. Nessuna di queste imponenti strutture è stata o verrà realizzata conducendo indagini d’impatto ambientale. 
La mostra si compone di venti scatti che testimoniano gli effetti della costruzione di questi 39 impianti, e racconta gli effetti che può avere la cattiva pianificazione degli sbarramenti idrici. 
Le immagini esposte al Muse sono state realizzate dai fotografi del collettivo Ruom, composto da Thomas Cristofoletti e Nicolas Axelrod, insieme a Emanuele Bompan, ideatore del progetto Watergrabbing, che intende denunciare, come dice il nome, «l’accaparramento dell’acqua». 
L’oro blu è un problema mondiale, ed è una risorsa insufficiente in moltissimi Paesi, non solo in quelli con pochissime fonti naturali e precipitazioni, ma anche, ad esempio, in Israele, India, Cina, Bolivia, Canada, Messico e Stati Uniti. E il libro Le guerre dell’acqua, della scienziata e filosofa indiana Vandana Shiva, (Feltrinelli, 158 pagine, 7,50 euro) rileva che non sono più un prevedibile evento del futuro. Sono già in atto: veri e propri conflitti che si stanno verificando in ogni società. Che si tratti del Punjab o della Palestina, spesso la violenza politica nasce dalla competizione per appropriarsi delle scarse e vitali risorse idriche. Molti di questi conflitti politici sono celati: chi controlla il potere preferisce mascherare le guerre dell’acqua, facendole apparire come scontri etnici o religiosi. Le guerre dell’acqua celebra invece il ruolo di pacificazione che l’acqua ha tradizionalmente svolto in ogni epoca e, allo steso tempo, denuncia la gravissima minaccia di una silenziosa privatizzazione che oggi genera continui conflitti. 
Anche in Italia il tema dell’acqua andrebbe messo con urgenza al centro dell’agenda politica, e in quella di pianificazione e valutazione degli interventi. C’è da avviare il piano nazionale di adattamento al clima, che deve diventare il riferimento per gli interventi di messa in sicurezza del territorio e dei finanziamenti nei prossimi anni. 
Oggi, secondo dati Istat, l’utilizzo dell’acqua nel Paese è così ripartito: usi per irrigazione e agricoltura 47%, usi civili 28%, Industria 18%, Energia 4%, zootecnia e allevamento 2%. Con un consumo agricolo che in alcune aree del Paese arriva a coprire anche il 60% del totale. 
E in queste settimane roventi è emergenza per l’acqua, con la siccità e il caldo record che hanno colpito, e continuano a martoriare, molte zone della Penisola. Per la siccità, per fare un esempio tra i tanti, i due grandi acquedotti che portano acqua a Roma, il Peschiera da Rieti e l’Acquamarcia dai Simbruini, sono spesso sotto la soglia di portata per servire la Capitale. Per questo motivo l’Acea da dicembre 2016 raccoglie fino a 2.500 litri al secondo dal lago di Bracciano per garantire l’acqua necessaria nelle case dei romani. E, nonostante ciò, si è ancora fermi con la rigenerazione degli impianti, visto che dai dati di Ecosistema Urbano 2016 emerge una dispersione idrica degli Acquedotti della provincia di Roma del 44%. 
Per questo, sarebbe poi fondamentale ammodernare gli acquedotti, per ridurre le perdite delle reti di distribuzione e gli sprechi nel trasporto della risorsa idrica. Altro problema riguarda poi le perdite delle reti di distribuzione. Stando sempre ai dati Istat, nel 2015 quasi il 40% dell’acqua immessa in rete non ha raggiunto l’utente finale nei Comuni capoluogo di provincia, 2,8 milioni di metri cubi al giorno, un dato addirittura peggiorato dal 2012, in cui era il 35% circa. 
E così Il gigante incatenato può rappresentare non solo il Mekong, nel lontano Sud-Est asiatico, ma tutta l’acqua del Pianeta usata e gestita male. Per interessi economici, incompetenza, negligenza, scarsa cultura della sostenibilità.