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 2017  luglio 19 Mercoledì calendario

Niccolò Fabi e l’elogio della normalità

Vent’anni più uno, ma quest’ultimo, che poi è il primo, Niccolò Fabi neanche lo conta. Succede. Ed è perfino scontato con un artista che della sottrazione ha fatto la sua arma di difesa. Spieghiamo: il cantautore romano quest’anno festeggia il doppio decennio di attività musicale e lo fa con un tour capillare (nessun riferimento a un suo vecchio successo, Capelli) e antologico. 
LA CARRIERAMa, in realtà, la sua carriera è più lunga e venne lanciata ventuno anni fa da Dica, un singolo leggero e orecchiabile che gli aprì le porte di Sanremo: «La considero una canzone secondaria e marginale nella mia produzione. Un pezzo estivo, un prodotto di laboratorio scritto un pomeriggio con Riccardo Senigallia in cui ci dicemmo: siamo due malinconici perché non proviamo a fare una canzone allegra? Una canzone per gioco che ha anticipato l’uscita del mio primo album, Il giardiniere» è la presa di distanza di Niccolò. Che, poi, ribadisce: «Le mie canzoni sono frutto di momenti più significativi e quell’aspetto ironico e leggero non ha avuto più spazio». 
A conferma di quanto detto c’è il fatto che quel brano non figura nei suoi concerti da almeno 15 anni e tanto meno appare in questo revival che lo sta portando in giro per l’Italia. Tanto meno Dica figura nell’album che accompagna l’anniversario, Diventi-inventi 1997-2017, «dove- spiega Niccolò ho raccolto i 15 titoli più importanti. Ma non è un greatest hits. Ognuno se lo può fare a casa con tutto quello che oggi c’è a disposizione. Ho voluto risuonarli tutti con uno stile salottiero per creare un ascolto omogeneo, ma senza seguire un ordine cronologico».
Un’operazione insieme di autocelebrazione ma anche di introspezione, specie per un carattere così discreto come quello di Niccolò: «Non ero estroverso quando avevo 15 anni, quando ero un trionfo di insicurezze, figuriamoci oggi che ne ho quasi 50. Con il tempo, però, sono riuscito a fare una graduale messa a fuoco della mia musicalità, consapevole di non essere un grande cantante e neppure un talento puro. Tanto per dire, al liceo c’era chi aveva molte più capacità di me».
LA FAMIGLIA
Forse anche per questo ci ha messo tempo Niccolò, per affermarsi: «Certamente non sono stato uno determinato a cercare il successo», confessa. E racconta: «Vengo da una famiglia di musicisti: cugini, padri, nonni, zii. Nelle riunioni suonavamo tutti. Posso dire che la musica è stata il nostro lessico familiare. Elemento stabile fin da quando sono nato. Per questo, forse, non ho mai pensato che la mia vita ne avrebbe potuto fare a meno, anche se ci ho messo molto a capire in che ruolo. Nel frattempo ho fatto tutti i mestieri dietro le quinte, prima di affrontare il pubblico».
C’è la forza della famiglia, ma anche quella di una città dietro la storia di Niccolò, cresciuto quando il mondo dei locali dove si faceva musica dal vivo era ancora determinante: «Appartengo a una generazione caratterizzata dalla musicalità collettiva. Non eravamo cantautori con la chitarra, come succedeva negli anni del Folkstudio. Quando ci trovavamo al Locale, partivamo subito per jam sessions, avevamo lo spirito della band. C’erano Alex Britti, Federico Zampaglione, Max Gazzè, Daniele Silvestri. Ci siamo sempre spalleggiati». Così il successo di uno diventava una spinta per l’altro: «Il primo ad avere un contratto discografico fu Zampaglione, poi toccò a Silvestri. L’idea che l’industria si fosse interessata a uno di noi, era un invito a continuare a provarci». 
Sembra un’epoca lontana: «Siamo stati l’ultima generazione legata al vecchio mondo della musica. La nuova generazione cantautoriale è cresciuta con un altro approccio. Parlo di fratelli minori come Angelini e Pier Cortese, ma anche di Tommaso Paradiso dei The Giornalisti, che sono molto più smaliziati di noi verso le scelte di marketing».
La carriera di Niccolò ha proceduto per piccoli passi fino a un grande evento doloroso nella sua vita, la morte della figlia Olivia, per una meningite fulminante: «È stato un momento drammatico che ha cambiato tutto nella mia vita. Eventi come quello ti ricostruiscono le priorità, ridimensionano le preoccupazioni. Così, addirittura, ho trovato più sicurezza nelle scelte e, da allora, la mia produzione è decollata».
L’ultima tappa del viaggio di Fabi è a Roma, il 26 novembre al Palalottomatica: «Sarà una chiusura destinata a durare» annuncia, avendo in testa già l’idea di un altro progetto. Ma intanto quella nella sua città, si augura, dovrebbe essere una grande festa.