la Repubblica, 19 luglio 2017
Sei mesi di Trump
Alla vigilia dei suoi sei mesi alla Casa Bianca, Donald Trump incassa un insuccesso grave: la sua maggioranza repubblicana al Senato perde i pezzi e non gli approva la contro-riforma sanitaria. Non è solo su Obamacare che il bilancio del primo semestre è deludente. Il paradosso di Trump è questo: una presidenza smisurata per il suo impatto mediatico, capace di occupare l’attenzione e fare notizia tre volte al giorno, eclissando l’opposizione della quale si sa poco o nulla. Ma al di là degli effetti-annuncio, degli scandali e delle provocazioni, il suo elettorato non vede risultati concreti. Lui si vanta di avere «firmato più leggi di qualsiasi presidente nella storia», ma sono per lo più provvedimenti minori. Non a caso si smorza la luna di miele fra i mercati e Trump, il dollaro s’indebolisce.
OBAMACARE
Per otto anni i repubblicani hanno denunciato la sanità di Obama come un concentrato di tutti i mali: dirigista e statalista, fonte di ulteriori deficit pubblici, un aggravio sui costi del lavoro, incapace di controllare l’iperinflazione delle tariffe. Ora che cumulano tutto il potere politico non riescono a sostituire e neppure ad abrogare Obamacare. Questo ha ripercussioni a catena: nello scenario repubblicano più ottimista, tagliando l’assistenza medica a 22 milioni di americani, si sarebbero dovuti risparmiare fino a 800 miliardi da usare per gli sgravi fiscali. Anche la riforma del fisco è compromessa.
TASSE
Vuole passare alla storia come un novello Ronald Reagan riducendo le imposte a tutti (cioè soprattutto ai ricchi che ne pagano di più). Nulla di fatto finora. Il cantiere della riforma fiscale sarà la più grossa sfida per i repubblicani dopo le vacanze. Ma non esiste un piano Trump degno di questo nome, dunque la palla passa ai notabili repubblicani del Congresso. Divisi, esposti alle pressioni di lobby conflittuali. E c’è nella destra un partito dell’austerity che vuole il pareggio di bilancio, difficile da conciliare con robusti sconti sulle tasse.
PROTEZIONISMO
Tamburi di guerre commerciali. Solo tamburi, per adesso. Se si eccettua il definitivo accantonamento del Tpp (trattato di libero scambio con l’Asia- Pacifico), per il resto sono solo effetti-annuncio. Trump lancia segnali a Messico e Canada sul ri-negoziato del mercato unico nordamericano, Nafta. Segnali di dazi anti- dumping contro l’acciaio europeo, indiano e cinese. Segnali di misure punitive contro qualche nicchia del made in Italy. Ma dalle parole ai fatti? Su quasi tutti i fronti è standby. Tanto più che l’Amministrazione è lenta nelle nomine, caselle essenziali per l’attività di governo restano scoperte, mancano dirigenti e funzionari per trasformare in atti le direttive del capo.
IMMIGRAZIONE
Il Muro al confine col Messico sarà una grata? «È utile poter vedere attraverso il Muro», ha detto Trump per giustificare il ridimensionamento di quel progetto-simbolo. Alcune gare d’appalto sono state indette, si tratta di piccole migliorie sul Muro già esistente, o limitati prolungamenti. Un vero Muro forse non ci sarà mai, anche perché le procedure di esproprio dei terreni per edificarlo sono lunghe, complicate, e si scontrano con l’ideologia della destra che difende la proprietà privata. Di sicuro c’è l’attivismo dell’Immigration and Custom Enforcement, il corpo speciale che dà la caccia ai clandestini. Le espulsioni sono in aumento, catturano i titoli dei giornali e dei tg, questo ai suoi elettori piace.
TERRORISMO
Sui fronti lontani del Medio Oriente, come Mosul, Trump coglie i frutti di una guerra contro l’Isis che era già a regime sotto Obama. Consolida un fronte sunnita-reazionario guidato dall’Arabia saudita che promette di isolare i jihadisti. In casa propria invece c’è la saga interminabile del Muslim Ban, il decreto che doveva impedire gli arrivi da sei paesi a maggioranza islamica. È diventato, per volontà dello stesso presidente, un simbolo della determinazione a tener fuori gli islamisti che odiano l’America. Il Muslim Ban dopo numerose bocciature dei giudici ha avuto un via libera parziale dalla Corte suprema (che tornerà sulla materia dopo l’estate). Con eccezioni per chi ha Green Card, o parenti in America, o legami di lavoro o studio. Lo stop dei tribunali viene interpretato dalla base di destra come una resistenza dei poteri costituiti: “Lasciatelo lavorare”.
AMBIENTE, ENERGIA
Non sarà il governo del fare, però sa disfare benissimo. Dove Trump eccelle è nello smontare per decreto esecutivo ciò che il suo predecessore fece per l’ambiente. Qui la deregulation trumpiana è stata rapida, radicale, totale. Molto più della denuncia degli accordi di Parigi (gesto simbolico senza effetto immediato), questo presidente ha cancellato una miriade di regole federali contro l’inquinamento, ha liberalizzato trivellazioni ovunque, ha tolto limiti alle emissioni di auto e centrali. La deregulation non basta però a creare un clima economico diverso, e l’industria dell’auto dà segnali di crisi.