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 2017  luglio 19 Mercoledì calendario

Il tormento dei repubblicani intrappolati nell’Obamacare. Riforma saltata, Trump furioso

WASHINGTON Il pranzo collettivo dei senatori repubblicani sembra non finire mai. Quasi due ore di discussione in una stanza presidiata dai commessi. Si parte con l’elaborazione del lutto politico: nella notte il leader della maggioranza, Mitch McConnell, ha annunciato il ritiro della riforma sanitaria. I dissidenti sono quattro: impossibile raggiungere la soglia necessaria dei 50 voti.
Dalla Casa Bianca è come se si levasse una colonna di fumo nero. In questi giorni il presidente è sembrato guardare altrove. Per esempio al rapporto con la Russia. Ieri il politologo Ian Bremmer ha rivelato che Trump e Vladimir Putin ebbero anche un secondo incontro, informale, nel corso del G20 di Amburgo.
In realtà la rabbia del presidente si era materializzata nei tweet, già nella serata di lunedì: «I repubblicani devono votare l’abrogazione secca dell’Obamacare, facciamo tabula rasa, i democratici ci seguiranno». McConnell si mette in scia, ma non funziona neanche stavolta. Tre senatrici del partito si sfilano: Shelley Moore Capito, West Virginia; Lisa Murkowski, Alaska; Susan Collins, del Maine. I conservatori possono contare su 52 seggi sul totale di 100: di nuovo non ci sono i numeri. Nello Studio Ovale, Trump lancia ai cronisti una battuta: «A questo punto lasciamo collassare il sistema dell’Obamacare. Dopo sarà tutto più facile».
I repubblicani si tormentano, seduti intorno al tavolo con i vassoi pieni di cibo appena sfiorato. Sette anni di promesse, quattro versioni di riforma, due alla Camera e due qui al Senato e ora zero risultati e, soprattutto, troppe idee diverse su come provare a risalire.
Alle 14.30 la riunione finalmente si scioglie. I senatori escono uno alla volta e si crea un doppio canale di informazione. Quello ufficiale, con il gruppo dirigente del partito che si avvicina al podio allestito proprio fuori l’emiciclo. McConnell rilascia una dichiarazione solo apparentemente netta: «È evidente che non abbiamo i consensi necessari per sostituire l’Obamacare, ma andremo avanti ed è probabile a breve un voto, intanto, per abrogare la legge oggi in vigore». Che cosa significa? La risposta va ricostruita dalle mezze frasi che gli altri senatori concedono per svincolarsi dalla pressione dei reporter. Lisa Murkowski quasi si tuffa nell’ascensore, protetta da un agente della sicurezza, ma trova il tempo per dire: «C’è stata una lunga discussione, ho sentito molte proposte, molte analisi, ma non siamo arrivati ad alcuna conclusione».
Dentro, le parlamentari contrarie alla cancellazione immediata fanno presente quale sarebbe l’impatto di una mossa del genere: già a partire dal 2018, il 20% degli americani oggi al riparo di una polizza si troverebbe senza copertura. Si sentono rispondere che proprio per questo bisogna accelerare i tempi. A fine giornata gli scenari praticabili non sono molti. Riemergono divisioni che erano state messe da parte dopo che la leadership aveva recepito l’emendamento dell’iper conservatore Ted Cruz: «Lasciamo alle assicurazioni la possibilità di offrire polizze con diverso grado di copertura». Adesso il gruppetto di Cruz e le altre correnti più radicali spingono per rimettere ancora mano al provvedimento. Il centro moderato, invece, si sta convincendo che non esista altra strada se non quella di aprire il negoziato con i democratici. Dall’«altra parte del corridoio», come dicono a Capitol Hill, non aspettano che questo. Anche Chuck Schumer compare davanti alle telecamere: «Siamo pronti a discutere con i colleghi repubblicani nell’interesse del Paese. Negli ultimi giorni ci sono stati contatti e qualche scambio di idee. Portiamo questo confronto alla luce del sole per migliorare l’Obamacare».