il Messaggero, 18 luglio 2017
Natalya operata a bacino e mandibola. Per Atac il rischio di maxi-risarcimento
ROMA Natalya Gargovich è stata operata ieri pomeriggio al bacino e alle costole dai medici del Policlinico Tor Vergata. L’operazione, riuscita, è durata oltre tre ore per la donna che mercoledì scorso è rimasta impigliata a un vagone della metro B ed è stata trascinata per cento metri sulla banchina, mentre il macchinista alla guida del treno mangiava. Dopo l’incidente la donna, bielorussa di 43 anni, aveva riportato fratture gravi in più parti del corpo – all’anca, alla spalla, alla mascella – tanto che il percorso verso la guarigione si preannuncia lungo e complesso. E potrebbe trasformarsi in una corposa richiesta di risarcimento danni. Fino a mezzo milione di euro, secondo gli esperti del settore. Per Agostino Messineo, professore di Medicina del lavoro all’ospedale Sant’Andrea-La Sapienza, solo i danni biologici per incidenti di questo tipo si aggirano tra i 200 e i 300mila euro, «considerando le fratture riportate e il tipo di operazione a cui è stata sottoposta la vittima». Altri 50mila euro potrebbero essere richiesti «per il lungo periodo di guarigione, che è facile prevedere tra i 3 e i 6 mesi, oltre al calcolo per le spese mediche e i controlli specialistici». Vanno considerati anche i danni esistenziali, «che in genere i giudici considerano di pari valore rispetto ai danni biologici», sostiene Messineo. Come sottolinea il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, molto dipenderà anche dal tipo di invalidità, «se sarà temporanea o permanente».
Non rischia solo il conducente indagato per lesioni, ma anche l’Atac, solo nel caso in cui venisse riconosciuta la «responsabilità sociale d’impresa» prevista dalla legge. Decisive in questo senso saranno le indagini della Procura di Roma per stabilire l’esatta dinamica dell’incidente e soprattutto se i sistemi di allarme abbiano funzionato o no.
L’OSPEDALEDopo l’operazione di ieri, intanto, la donna resta ricoverata al policlinico Tor Vergata, dove era stata portata in terapia intensiva mercoledì notte. Chi le sta accanto, racconta il dolore intenso per le ferite, lo choc, la sensazione devastante di essere diventata fragilissima, colpita duramente dalla vita, ancora una volta. Vicino al letto c’è sempre la sorella, che non vuole lasciarla neppure un istante. E non vuole che altri si avvicinino. «Perché su questa storia si sono fatte troppe chiacchiere». D’altronde, il passato di Natalya è scritto sul suo volto e raccontato dai pochi giorni vissuti alla Casa di Giorgia, una villetta nel verde, in via Laurentina, del Centro Astalli, dove Natalya risiedeva da meno di due settimane. Era arrivata i primi giorni di luglio per prepararsi a iniziare la sua nuova vita in Italia. «Non possiamo dire nulla», dicono al Centro, poi aggiungono, addolorati, «le storie qui sono tutte uguali e al contempo tutte diverse».
ASILO POLITICO
Al Centro, infatti, risiedono donne che hanno richiesto asilo per prepararsi a diventare indipendenti. Un percorso che Natalya aveva iniziato da poco e che prevedeva lezioni di italiano, una valutazione delle sue competenze per aiutarla poi a inserirsi nel mondo del lavoro, l’assistenza legale e medica, con l’obiettivo appunto di assicurarle tutti gli strumenti necessari per integrarsi. Un iter non semplice, che Natalya era ben felice di aver intrapreso, e che sarebbe dovuto durare tra sei mesi e un anno. Sua sorella non vive nel centro con lei. Parla bene italiano, si è già organizzata nel nostro Paese. L’altro giorno, dopo l’incidente, è corsa in ospedale per fare muro intorno a Natalya. E spingere gli altri a fare altrettanto. E infatti sull’operazione l’ospedale tiene il massimo riserbo. Silenzio anche dal Consolato bielorusso: «Ci siamo interessati subito delle condizioni della nostra connazionale e abbiamo offerto il nostro sostegno a lei e alla famiglia, ci è stato risposto che non avevano bisogno di nulla e ci è stato chiesto di non parlare con nessuno».