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 2017  luglio 18 Martedì calendario

Roger Federer: la sua santità va ai posteri

Sono appena arrivato da Wimbledon, che mi telefona un editore piuttosto importante. «Cosa ne pensi di un libro su Federer?». «Deja vu» rispondo, e per fargli capire meglio, aggiungo: «Ne ho dieci nella mia libreria». E li ho anche letti, contrariamente al Beato, che ha, guarda caso, un cognome che inizia per “Fede“.
L’Editore, traquillizzato dal rischio che correva, con il suo superficiale entusiasmo di spettatore televisivo, domanda allora: «Quali sarebbero, i volumi?». Il primo, rispondo, è la biografia del mio amico René Stauffer, del Tages-Anzeiger, Das Tennis- Genie, tradotto in varie lingue da uno che ha conosciuto professionalmente il genio da piccolo. Di lui Stauffer dice, dopo averlo visto giocare contro l’italiano Fracassi, sedicenne: «La sua tattica era insolita. Cercava di finire il punto presto, ad ogni opportunità».
Nel libro è ricordata anche l’opinione del 2004 di Jack Kramer, un altro Federer cui la guerra impedì di esser tale, fondatore del professionismo: «Roger è come un buon vino rosso. Penso che i suoi anni migliori debbono arrivare». Segue l’opinione di Connors: «Tu sei uno specialista del tennis su terra, su erba, sul duro. Ti chiami sempre Roger».
Spostiamo l’attenzione su un altro libro di un giornalista svizzero di lingua francese, Roger Jaunin. Nel suo primo libro su Federer dice: «Giocare è la mia chiave. Ping pong, tennis, calcio, basket. Li ho provati tutti». Il libro ha un’altra edizione in cui il giornalista cita Rod Laver: «Roger è il miglior tennista che abbia mai visto». Da frasi pronunziate da personaggi famosi e da Roger stesso si passa ai Silences de Federer dello psicologo André Scala: «È alla presenza poetica, ammirabile di Federer che il mio libro è consacrato».
Nel 2006 a scrivere di Roger si spinge il grande David Foster Wallace, in Roger Federer come esperienza religiosa. «La bellezza umana di cui stiamo parlando è un tipo di bellezza particolare. È una bellezza cinetica. Non ha niente a che vedere con il sesso e le norme culturali. L’attrazione e il fascino che esercita sono culturali. Semmai sembra strettamente legata alla possibilità per un essere umano di riconciliarsi con il fatto di avere un corpo». Dopo il ben noto scrittore ecco qualcuno che, di Federer, fu allenatore, il francese Georges Danieau, nel libro Des Mousquetaires à Federer. Il mio buon amico Georges scrive, dopo aver diretto il Centro nazionale svizzero a Losanna: «Pur apprezzandolo, non avrei mai immaginto una carriera simile. Né ci avrebbero pensato i suoi genitori, e nemmeno lui. Solo Peter Carter, l’allenatore australiano, aveva intuito il talento del suo allievo. Peter e Roger erano diventati molto amici. Così la morte di Carter in una gara d’auto safari in Sudafrica fu un autentico dramma per Roger, una perdita che lo toccò nel più profondo del cuore».
Viene poi, nel 2015, un libro di William Skidelsky, Federer and Me. È la storia di un aficionado matto per Federer, che muta la sua vita per seguire dovunque il campione. È un esempio al quale nessun scrittore aveva pensato, a eccezione forse del vecchio Clerici che ha offerto un anno della sua vita e tutto il suo amore a una tennista non meno grande di Federer, la donna che fu battuta una sola volta, Suzanne Lenglen.
Infine le Edizioni Mare Verticale, benemerite per il tennis, hanno tradotto Roger Federer The greatest di Chris Bowers. Ed ecco Roger che afferma: «Contro Safin credo di aver giocato il match migliore della mia vita. Riuscivo a rischiare molto, e le palle stavano sempre in campo. È stato incredibile». Mentre evito per la loro modestia altri tre libri mezzo copiati dai sette che ho citato, mi viene in mente un irrispettoso paragone con una biografia di San Francesco che sto leggendo: «Ma Francesco era consapevole della propria Santità?». E Federer, nella sua vita, lo è altrettanto del proprio diritto-rovescio? Ai posteri.