la Repubblica, 18 luglio 2017
«Mappe mai aggiornate, così si può aggirare la legge anti-speculatori»
ROMA Dalla criminalità organizzata che ha interessi a speculare sulle aree protette agli appalti non rinnovati per lo spegnimento degli incendi. Dall’avvertimento degli stagionali decisi ad essere reclutati nei mesi estivi col preciso compito di domare i roghi nelle terre più a rischio a raid di stampo razzista per fare, letteralmente, terra bruciata attorno agli insediamenti abusivi di stranieri nei boschi. La rosa delle motivazioni che spingono a distruggere i polmoni verdi è variegata. Ma c’è sempre una regia, da Nord a Sud, perché «nulla brucia per caso». Ne è convinto Gianfranco Amendola, magistrato di lungo corso che si è sempre occupato di reati ambientali, oggi consulente della Commissione parlamentare Ecomafie. «Per esperienza personale, posso dire che nel 90 per cento dei casi gli incendi, in qualsiasi luogo, sono dolosi. L’autocombusione è un fenomeno raro. E gli interessi che ci sono dietro a un fuoco acceso sono quasi infiniti».
Il magistrato è convinto che, dietro a un cerino acceso, ci sia sempre un progetto da portare a dama: «ai disastri accidentali ci credo poco». Sul rogo della pineta di Castel Fusano a Ostia, che ieri, puntuale come ogni anno, ha bruciato pini e sterpaglie non si sente di fare ipotesi. Ci sono un arrestato e un’indagine in corso. Ma l’apocalisse di fuoco che il 4 luglio del 2000 ridusse 350 ettari di verde in cenere la ricorda ancora: «Si ipotizzò allora che a mettere in atto lo scempio potessero essere stati i membri di una qualche associazione a tutela del verde cui non era stato rinnovato il contratto, e che volessero dimostrare che era stato un errore rinunciare alla loro presenza».
La terra brucia sotto dettatura, dunque. Incendiata da pastori e agricoltori perché pensano che le fiamme rendano i terreni più fertili, dalla malavita perché vuole appropriarsene, dai piromani seriali per lucida follia, e negli ultimi tempi c’è chi ha fatto anche l’ipotesi del rogo doloso legato a motivi razziali, per le aree – come Castel Fusano – scelte da rom i migranti per i loro insediamenti abusivi. Infine, le piste del riciclaggio e dello smaltimento rifiuti, roghi da cui si ricavano materiali da reimmettere sul mercato. Un genere, questo dei roghi legati alle ecomafie, che però interessa impianti di stoccaggio e smistamento rifiuti, non le aree verdi.
Per arginare la speculazione edilizia sulle terre distrutte dal fuoco c’è una legge, la 353 del 2000: legge-quadro in materia di incendi boschivi, che consente di determinare l’inedificabilità delle aree percorse dal fuoco per i successivi dieci anni. Tuttavia, spiega Amendola, la blindatura è più fragile di quanto si possa pensare. «La legge è ben poco applicata – argomenta l’ex procuratore – e spesso rimane sulla carta. Le mappature delle terre su cui mettere il divieto di edificare, in molte Regioni non sono aggiornate». Ad esempio, proprio nel Lazio è così. A confermarlo il direttore regionale all’Ambiente Vito Consoli, che la settimana scorsa, in una riunione, ha sollecitato i suoi collaboratori a farsi inviare dai Comuni le mappe aggiornate dei luoghi in cui interdire le nuove costruzioni ferme ad anni fa.
«Seppure sulla pineta di Castel Fusano esiste un vincolo paesaggistici – spiega Angelo Bonelli, leader dei Verdi – non dimentichiamo che nelle aree prospicienti e limitrofe all’area verde vi è da sempre un interesse speculativo». Già. Nel 2012, fu lo stesso sindaco di Roma, Gianni Alemanno, a mettere gli occhi su un’area adiacente alla pineta di Ostia. La giunta propose la costruzione di una pista da sci tra il verde e il mare, con un investimento da 1,6 milioni di euro. Un’idea infelice che infatti fu bocciata.