La Stampa, 17 luglio 2017
Sophia e il nodo sbarchi. Così l’Italia vuol rivedere la missione europea
Prima il via libera al gruppo di lavoro con gli altri Stati Ue per rivedere il Piano Operativo dell’operazione Triton. Poi il codice di condotta per le Ong battezzato dalla Commissione europea (seppur con un’ampia revisione), che nei prossimi giorni sarà discusso con le associazioni. Ora si apre un terzo fronte nella strategia del governo per una gestione più «europea» dell’accoglienza post-salvataggio dei migranti. Nel mirino c’è l’operazione Sophia, la missione militare Ue che – dal punto di vista italiano – ha un grande difetto: si appoggia al piano operativo di Triton. E dunque prevede che gli sbarchi avvengano tutti in Italia. È questo il legame che l’Italia vorrebbe interrompere, per alleggerire la pressione sui propri porti.
Il Piano Operativo di Sophia è un atto riservato e quindi inaccessibile, ma chi lo ha letto assicura che la questione degli sbarchi non è definita nel dettaglio. Del resto l’obiettivo principale della missione Ue – avviata nel 2015 – è di combattere i trafficanti. Nel 2016, in occasione del rinnovo del mandato, sono stati aggiunti altri due compiti: l’addestramento della Guardia Costiera libica e il controllo del rispetto dell’embargo Onu sulle armi. Inevitabilmente, Sophia fa anche attività di «Search & Rescue», i salvataggi in mare. Il suo Piano Operativo dice solo che le navi, una volta salvati i migranti, devono avvisare il Centro di coordinamento del soccorso marittimo competente (che è quello di Roma) e attendere istruzioni.
Ma se il piano operativo non dà indicazioni sugli sbarchi, su che basi vengono smistati i migranti? Qui spunta un documento del Servizio per l’Azione Esterna dell’Ue: le linee guida numero 885 del 2015. Dice che per le attività di sbarco, Sophia deve «seguire il Piano Operativo di Triton», il quale appunto prevede che tutte le navi vengano portate sulle coste italiane. A questo punto, per il governo ci sono due strade: la prima è cambiare il piano di Triton, un lavoro avviato ma che non darà risultati prima di settembre (e comunque c’è già il «no» degli altri Stati alla regionalizzazione degli sbarchi); la seconda è spezzare il legame tra le due operazioni.
Il mandato di Sophia scade il 27 luglio e a Bruxelles il rinnovo viene dato per scontato, ma tutto può succedere e la finestra è la giusta occasione per una revisione. Oggi si riuniranno i ministri degli Esteri e il rinnovo automatico è stato tolto dall’ordine del giorno. Lo hanno chiesto Svezia e Regno Unito per questioni tecniche e l’Italia si è aggiunta, nella speranza di sfruttare questi dieci giorni per mettere mano al punto-chiave.
E oggi sarà definitivamente pronto anche il testo del nuovo Regolamento di condotta per i salvataggi in mare a cura delle Ong. Il testo è stato emendato la settimana scorsa in un incontro tenutosi a Bruxelles; indubbiamente alcuni passaggi sono stati ammorbiditi. Al posto di «divieti» sono stati introdotti degli «impegni a cura di». Così come sulla presenza di ufficiali di polizia a bordo delle navi umanitarie: non c’è più l’obbligo di avere agenti a bordo, bensì di includerli «su richiesta delle autorità competenti». In pratica, una presenza non sistematica.
Resta la novità di un severo decalogo di comportamenti. E anche se la formulazione è più lieve, non è detto che le Ong l’accetteranno. Prova della verità sarà un incontro questa settimana, a Roma, in data ancora da definire. L’intera impalcatura regge infatti sull’accettazione da parte delle associazioni, anche se al ministero dell’Interno, dove reputano il Codice comunque un notevole successo, si sottolinea che soltanto chi aderirà avrà «la certezza» di poter poi sbarcare nei porti italiani i migranti recuperati in mare. Seguirà quindi una consultazione finale con gli altri Stati membri.
Intanto si discute della possibile applicazione della direttiva europea sul permesso umanitario temporaneo, la 2001/500, scritta dopo la guerra nei Balcani. Ne hanno parlato per primi Emma Bonino e i radicali, rilanciati poi dal senatore Luigi Manconi, Pd, che ha raccontato di averne parlato direttamente con il ministro Marco Minniti. La questione non è stata scartata nemmeno alla Farnesina, anche se il viceministro Mario Giro ha definito «illazioni» un articolo del londinese Times che ipotizzava la concessione di 200mila visti temporanei da parte italiana.