La Stampa, 18 luglio 2017
Il medico venuto dagli Usa con una terapia per Charlie
«Salvate nostro figlio». L’ultimo appello dei genitori del piccolo Charlie Gard è rivolto a Michio Hirano, neurologo della Columbia University di New York, secondo cui è una corsa contro il tempo ma si può tentare una terapia sperimentale prima di staccare la spina (unica possibilità secondo i medici del Great Ormond Hospital di Londra). Il luminare, laureato ad Harvard è arrivato al capezzale del piccolo insieme al responsabile del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione del Bambin Gesù, Enrico Bertini, ed altri dottori. Un consulto per capire le attuali condizioni del piccolo in vista dell’udienza all’Alta Corte venerdì prossimo. Il 25 luglio, poi, il giudice Nicholas Francis deciderà se rimanere della sua idea, ossia la necessità di staccare la spina, o se invece valga la pena trasferire Charlie negli Usa con Hirano per una cura che ancora non è stata sperimentata abbastanza sugli esseri viventi, ma che si stima possa dare una chance almeno teorica di miglioramento, compresa fra il 10 e il 50%. Sempre che Charlie riesca a sopportarla.
Enrico Bertini il cui parere all’inizio di questa vicenda era stato senza speranza, continua ad essere cauto, ma appoggia il protocollo di Hirano basato su studi non pubblicati sulla sindrome da deplezione del Dna mitocondriale. Mentre i medici inglesi continuano ad essere scettici sul «miracolo» convinti che il bambino andrebbe accompagnato con dignità al suo destino per non farlo soffrire. Ma ieri hanno accolto e collaborato con i colleghi stranieri facilitando l’accesso alle informazioni. A Hirano è stato offerto un contratto temporaneo di consulente onorario in modo da fargli visionare le cartelle cliniche.
Connie e Chris, mamma e papà, sono stati sempre accanto al lettino del loro Charlie durante le visite, rispondendo alle domande del professore americano. Dopo aver messo in atto una massiccia campagna di appello in difesa della vita del figlio sui social – con l’hashtag #charliesfight – si sono mossi papa Francesco e il presidente Usa Donald Trump oltre a milioni di persone comuni che hanno voluto contribuire (con 1,5 milioni di euro) per finanziare le cure del piccolo negli Stati Uniti. E da ieri hanno un filo di speranza in più. Soddisfatti di aver mobilitato l’opinione pubblica internazionale e dell’intervento di medici stranieri, convinti che il loro piccino sia ormai «un prigioniero» da strappare (parole del portavoce di famiglia) alle mani di uno Stato e d’un servizio sanitario decisi, chissà, ad affermare la propria autorità.