Libero, 17 luglio 2017
Il fascino dell’invisibile
È tutta strategia. Gentiloni finge di non tenere alla poltrona di presidente del Consiglio perché è il miglior modo di tenersela stretta sotto il sedere. Il premier è più lucido di chi l’ha mandato a Palazzo Chigi e ora si dimena come un matto per sostituirlo. Ha fatto tesoro degli errori di protagonismo di Renzi e ha scelto la discrezione, quello chi in Inghilterra chiamano «understatement». Ha capito che, in mancanza o nell’impossibilità di riavere «Lui», ossia l’uomo forte al comando e lascio a ciascun lettore il compito di mettere lui il nome -, per gli scombicchierati e autarcici italiani l’ideale è il premier sfumato, che non rompe e si fa vedere il meno possibile. Non quello che gonfia il pezzo e spacca i timpani altrui ma poi si ritrova con un pugno di mosche in mano.
Gentiloni è stato dotato dalla natura per recitare il ruolo del premier invisibile. È a capo del Paese da sette mesi e l’uomo comune non sa alcunché di lui. Ha figli? È sposato? E come si chiama la fortunata? Chi lo sa? D’altronde la maggioranza ignora perfino come si chiama lui. A che squadra tiene? E come si fa a saperlo, se va allo stadio non lo inquadrano. Nel suo libro di autocelebrazione propedeutico alla campagna elettorale, Renzi quasi non lo nomina. Perfino D’Alema gli risparmia ogni livore, benché ritenga Gentiloni il burattino del segretario Pd, ossia del suo nemico numero. Bersani non l’ha mai paragonato a una mucca nel corridoio e l’Europa se lo coccola. Pure Juncker lo ama, forse perché in fondo Paolo si chiama così gli ricorda perfettamente quanto l’Italia conta dalle parti della Commissione Ue e come è considerata: pallida, impotente, da portare a guinzaglio. Malgrado ciò, Gentiloni dev’essersi ultimamente accorto di ricoprire la carica di premier e per questo ha deciso di testarsi con un sondaggio sul proprio gradimento personale. L’indice sarà più alto di quanto lui stesso non pensi, perché l’elettorato, sfinito, non può che apprezzare uno così. Gentiloni non fa promesse e quindi non le può disattendere, non esibisce istinti rottamatori e pertanto sfugge dalla lista delle cariatidi di cui liberarsi che altrimenti lo vedrebbe ai primi posti, non si attribuisce successi politici ed economici e conseguentemente non viene ritenuto responsabile quando, più spesso, i risultati non ci sono e le cifre peggiorano, non litiga e nessuno lo attacca, anche se resta il dubbio che, se lo facesse, qualcuno poi gli darebbe la soddisfazione di rispondergli.
In più, il premier in carica gode di amici potenti che non esibisce. È amato dal Quirinale, con il quale condivide la mancanza di qualsiasi appeal mediatico. Il presidente lo considera affidabile, mentre pare ritenga disturbato oltre che distrubante il suo predecessore. La sua forza è la debolezza. Procede stoico e ascetico. Paolo poi è il capo che tutti sognano; i suoi ministri non ne azzeccano una eppure lui non li critica, se c’è da fare qualche favore alle banche non si tira indietro, è l’unico italiano che riesce a non farsi toccare dall’allarme immigrazione, non ha proferito verbo sui conti, argomento su cui si sono schiantati per una ragione o per l’altra Berlusconi, Monti, Letta e Renzi. Non si sa se vuole una manovra di rigore o di spesa.
È premier senza che l’opinione pubblica lo ritenga responsabile di alcunché. Vive sotto l’ala di Renzi ma non è scalfito dal disfacimento e dalle lotte interne dei Dem né dal declino del Fiorentino. Se davvero ambisce a prenderne il posto, Matteo dovrebbe fare un passo indietro e non occupargli tutta la scena. Potrebbe essere non solo per mitezza e rispetto che Gentiloni cammina in silenzio rasente i muri.