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 2017  luglio 17 Lunedì calendario

Il ritorno alla dracma? Può far schizzare i prezzi del 30%

Mentre le economie spagnola e portoghese, per non parlare di quella irlandese, sono tornate a crescere a ritmi più veloci della media Ue, la ripresa fa invece fatica a prendere quota nel paese più colpito dalla crisi: la Grecia. Non è difficile capire i malumori che ne derivano, né il sospetto che forse la Grecia non è adatta all’euro. 
La tesi che il ritorno alla moneta nazionale, dopo qualche anno difficile, permetterebbe finalmente all’economia greca di crescere, continua a godere di una certa plausibilità (soprattutto all’estero). Ma è una tesi sbagliata. 
Proviamo a immaginare che cosa succederebbe in caso di Grexit. Prima di tutto, non sarebbe possibile evitare un periodo di transizione, per rendere effettivamente disponibile la nuova moneta nazionale. Quanto lungo? Non meno di un mese, forse sei mesi, forse più (per mettere in circolazione la moneta europea ci sono voluti due anni). 
Nel frattempo, l’euro coesisterebbe con una valuta parallela fatta di cambiali emesse dal governo, forse in forma elettronica. La reazione istintiva dei cittadini sarebbe quella di fare incetta dei preziosi euro, che sparirebbero dalla circolazione. Risultato: caduta vertiginosa della domanda interna, interruzione del commercio estero, economia praticamente ferma e disoccupazione alle stelle (a partire dal già spaventoso 25% attuale). Una vera catastrofe economica e sociale, tanto da far sembrare i lunghi anni di austerità un’allegra gita in campagna. 
Se confermati, gli aiuti ipotizzati da Wolfgang Schäuble due anni fa per facilitare l’uscita della Grecia dall’euro servirebbero forse ad evitare il peggio. Ma ci sarebbero sicuramente problemi di ordine pubblico. Due anni fa, Varoufakis elaborò in segreto il fatidico «Piano X», ossia pagare una parte degli stipendi statali e delle pensioni in cambiali, in modo da far capire a Mario Draghi che l’economia greca poteva funzionare anche senza la liquidità della Bce. 
James Galbraith, allora componente del «cerchio magico» di Varoufakis, ha ammesso che si valutò seriamente il possibile uso dell’esercito in caso di disordini. 
Una volta messa a regime la nuova dracma, si sostiene, la svalutazione permetterebbe la ripresa dell’economia, il boom delle esportazioni, e lavoro per tutti. Falso. Innanzitutto, secondo le stime, la svalutazione sarebbe almeno del 20% e potrebbe arrivare all’85%. Ciò porterebbe a un aumento vertiginoso dei prezzi (nel primo anno l’inflazione potrebbe salire al 25% o 30%), un’erosione del potere d’acquisto di salari e pensioni, un default del debito (per il 90 per cento detenuto da creditori esteri), un domino di chiusure di aziende private, la nazionalizzazione delle banche e la perdita dell’autonomia della Banca centrale, il ritorno di disavanzi fiscali. Insomma: una nuova grande depressione dell’economia stimata dal 13% al 22% (oltre il 26% già perso dal 2008), con un tasso di disoccupazione al 30% o di più. 
E le esportazioni? L’esperienza degli ultimi anni dimostra che non bastano i prezzi bassi per riacquistare competitività. Nonostante una «svalutazione interna» molto più elevata che negli altri paesi del Sud Europa a partire dal 2012, le esportazioni greche hanno segnato il passo. 
Ciò che manca alla Grecia per una vera ripresa economica non è una moneta nazionale ma la stabilità politica e la modernizzazione della struttura produttiva. L’uscita dall’euro (oltre ai danni menzionati) renderebbe entrambe molto meno probabili.