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 2017  luglio 18 Martedì calendario

Hikikomori italiani

Con la parola «Neet» si indicano quei giovani che non solo non studiano e non lavorano, ma non vogliono neanche né studiare né lavorare. Le statistiche nostrane dicono che sono leggermente in calo (da 2 milioni e 400 mila a 2 milioni e 200 mila nel 2016), ma un’indagine della Commissione europea sull’occupazione e sugli sviluppi sociali in Europa ci dice che, ancorché in calo, lo stato dei nostri Neet è più grave di quello che si registra in Europa.  

Sentiamo i dati.
Disoccupazione degli italiani di età 15-24 anni nel 2016: 37,8%. Contratti atipici tra chi riesce a trovare un lavoro in età 25-39: 15%. Stipendio medio di un lavoratore con meno di 30 anni (A) rispetto allo stipendio di un lavoratore con più di 60 anni (B): A è in genere inferiore al 60% di B. Età in cui i giovani italiani generano il primo figlio: 31-32. Tasso di Neet in Italia: 19,9%.  

Non ho capito se sono percentuali incoraggianti oppure no.
Leggermente incoraggianti se si confrontano col passato, piuttosto scoraggianti se si raffrontano con i dati degli altri Paesi europei. Per esempio, la disoccupazione dei 15-24enni è tra le più alte in Europa, battuta solo da Grecia (47,3%) e Spagna (44,4%). La questione dei contratti atipici: nel Regno Unito sono meno del 5%. Primo figlio nell’Unione europea: intorno ai 26 anni. Le cifre della Commissione confermano risultati che vengono da altre indagini. Il 24,3% dei giovani con meno di 30 anni può essere iscritto alla classe dei Neet, acronimo che significa «Not in education, employment or training» (Giovane che non studio, non lavora e non sta facendo apprendistato). La media Ue di questi Neet è del 14,2% e in Germania dell’8,8. Già da queste percentuali si intuisce il nesso, molto stretto, tra condizioni economiche generali e condizione giovanile sfiduciata. Infatti scorporando il dato italiano risulta che quel 24,3% è una media tra una situazione meno grave al Nord (Neet intorno al 18-20%) e una assai preoccupante al Sud, dove il numero di giovani che non sanno che farsene della propria vità può superare il 30%.  

Non sanno che farsene della propria vita?
Ha idea di che cos’è un Neet in fase acuta? Un ragazzo che si rifiuta di andare a scuola, si chiude in camera sua, non esce più, non mangia nemmeno con la famiglia, le uniche amicizie sono quelle che stringe su Internet. La trasformazione da figlio di mamma pieno di speranze in oggetto misterioso che non si sa da che parte prendere è improvvisa. Gli esperti hanno battezzato il fenomeno «ritiro sociale». L’ha raccontato Daio Di Vico, raccogliendo le testimonianze di qualche madre. Per esempio, Carmen: «Una sera che non dimenticherò mai, Sandro si è seduto sul mobile della cucina e mi ha detto: da domani a scuola non ci vado più, e così è stato. Era in quarta liceo. Per tre anni è vissuto nella sua camera, ha piantato il calcio, è diventato vegano e ha smesso anche di mangiare a tavola con la famiglia». Giulia: «Marco ha finito il liceo regolarmente, i guai sono arrivati dopo. Ha lavorato come venditore per un’azienda, ma dopo diversi mesi non gli hanno voluto riconoscere un contratto e non l’hanno pagato. E da lì ha spento la luce, si è rifiutato di continuare gli studi e ha introiettato un senso di vergogna e inadeguatezza. Voleva fare il deejay e adesso l’unica compagnia che ha scelto è la musica». Nicoletta: «Francesco un giorno mi ha confessato che andare a scuola era diventato un incubo quotidiano. Si è ritirato in camera e si è costruito una rete di amici virtuali in diverse città, ha perfezionato l’inglese ubriacandosi di serie tv e non ne ha voluto più sapere dell’istituto turistico. L’ultima delusione è stata l’impossibilità di essere assunto in un hotel, che pure lo avrebbe preso, perché ancora minorenne».  

Ho sentito che il fenomeno è particolarmente acuto in Giappone.
Sì, si tratta degli hikokomori. Laggiù il fenomeno ha preso a manifestarsi all’inizio degli anni Ottanta. In Giappone, come in Europa, nove volte su dieci il fenomeno riguarda i maschi. Problemi di relazione, senso di inadueguatezza, difficoltà a rapportarsi con l’altro sesso, fuga nella realtà virtuale e surroga dei rapporti sessuali con una frequentazione ossessiva dei siti porno. È, tra l’altro, il quadro descritto adesso dal sociologo americano Philip Zimbardo nel suo ultimo volume, Maschi in difficoltà
, pubblicato da Franco Angeli. La difficoltà del maschio deriva anche dal tumultuoso accrescersi, in ogni senso, delle figure femminili, sempre più prevalenti. Per esempio: «Negli Stati Uniti nemmeno un quarto dei ragazzi, a 13-14 anni, legge e scrive correttamente, contro il 41% delle ragazze particolarmente brave a scrivere e il 34% a leggere». Da noi non è diverso.  

Che si può fare?
Il problema è mondiale. L’Europa ha stanziato 6,4 miliardi di euro per un  programma chiamato “Garanzia Giovani” che si propone proprio di aiutare i ragazzi a uscire dall’apatia di cui sono quasi sempre incolpevoli. La Corte dei Conti europea ha fatto adesso una verifica sui risultati raggiunti in sette Paesi (Irlanda, Spagna, Francia, Croazia, Italia, Portogallo, Slovacchia) e il dato per noi non è buono. L’Italia ha la percentuale più bassa di uscite dal programma con un posto di lavoro: il 31% contro la media dell’80% degli altri Paesi.