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 2017  luglio 16 Domenica calendario

Tutte in bikini contro il burkini in Algeria

Nubili, sposate, mamme, non ne, di tutti i ceti sociali. Accomunate da due caratteristiche: tutte algerine e tutte meravigliosamente scorrette rispetto al venefico pensiero imperante che le vorrebbe tutte sottomesse. Hanno sentito in migliaia la necessità di unirsi, sulla spiaggia di Annaba, per esprimere una femminilità impossibile da sradicare, perché connaturata carnalmente con la libertà. 
Il bikini, questo non lasciatevelo sfuggire, è uno strumento di comunicazione che poteva essere sostituito con un jeans in piazza o un taglio di capelli diverso. Il messaggio è quello che conta: la protesta contro l’obbligo di burkini, mezzo di controllo della donna e della sua libera espressione corporea di femminilità, e contro la presenza dei fondamentalisti moralizzatori che si permettono di controllarle. Loro incontrollati, con il tacito silenzio delle autorità. E delle anime belle che qui si gingillano alla ricerca di apologie da sanzionare. Questo messaggio è arrivato a noi donne occidentali (non tutte per la verità...) come un grido di aiuto che ci fa sentire unite e solidali in quanto donne. Questa espressione di libertà è una ribellione contro l’avanzata dell’estremismo, recintata dall’omertà, che tende a soffocarle ed emarginarle nella loro vita privata e sociale. Coraggio che diventa una vera e propria espressione di dolore unita ad una richiesta di aiuto. 
Sì perché ci sono dei signori che a quelle latitudini scendono in spiaggia per intimidire e minacciare le bagnanti, attraverso fotografie e segnalazioni di chi trasgredisce, per raccogliere le prove. È il totalitarismo che azione la polizia segreta, come nei regimi comunisti della cortina di ferro. L’Europa non ha colto e non ha fermato l’avanzata del radicalismo che già in Algeria iniziava a germogliare con il Fis, il Gia e la Jamaa Al Islamiya. «Se parli, muori; se non parli, muori. Allora parla e muori», scriveva il giornalista e scrittore algerino Tahar Djaout, ucciso nel 1993 perché segnalava la barbarie e l’ambiguità del nazionalismo politico e religioso del «sistema Algeria» di allora. Tradurlo in Italia, però, era tabù. L’estremismo in Algeria iniziava a infiltrarsi nel tessuto sociale già negli anni’90, quando la Jamaa al Islamiya perpetrò un vero e proprio genocidio, uccidendo oltre 380mila persone e sterminando due generazioni aperte alla cultura e al confronto che hanno pagato con la loro vita la libertà di espressione. Lo stesso salafismo che oggi si ritrova nel cuore dell’Europa, in quartieri e zone off-limits, dominati da piccoli califfati legalizzati. 
Quel genocidio è rimasto, nel corso degli anni, impunito, nessuno è mai stato giudicato dal Tribunale dell’Aja. Oggi, un giornalista di Libero ha provato ad esternare il suo pensiero contro il radicalismo che ha trucidato migliaia di persone ed è stato denunciato da un collega per farlo tacere. La stampa di sinistra, che va a fare inchieste sui manifesti che un bagnino ha nel suo ufficio, non ha nemmeno evidenziato l’importanza di questa manifestazione di orgoglio e di libertà. 
Probabilmente, se quelle donne avessero indossato il burkini, simbolo del radicalismo, i giornali avrebbero inondato le loro pagine di foto ed articoli e le varie trasmissioni le avrebbero citate: donne libere! Ecco la definizione che ne avrebbero dato. 
Sono molto curiosa di conoscere il pensiero della Signora Boldrini e delle compagne che hanno espresso un loro parere sul burkini considerandolo erroneamente un’espressione di libertà, ma non sulla battaglia di queste donne contro l’estremismo che annienta e offende i diritti della donna. Le donne che si sono date appuntamento in spiaggia ieri sono le figlie e le nipoti dei martiri e delle martiri dell’Algeria insanguinata degli anni ’90. Siamo e saremo sempre unite, vicine a loro. La sentenza di Strasburgo ha chiarito che la legge che vieta alle donne di indossare il velo integrale non è discriminatoria e non viola il diritto al rispetto della vita privata e alla libertà di pensiero e religiosa, ma non basta. Il percorso contro l’estremismo, questo sì femminicida, è solo all’inizio. Siamo e saremo ancora a lungo sole, questo lo sappiamo: e non è detto che sia un male...