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 2017  luglio 15 Sabato calendario

Il debito pubblico record ha almeno dieci padri

Il debito pubblico italiano è un treno senza comandi che deraglierà facendo vittime. Sono passati governi di ogni tipo: tecnici, di destra, di sinistra, di larghe intese, ma tutti son falliti nel tentativo di fermare la folle corsa. 
Eppure, la matematica non è un’opinione. Dati alla mano, in Italia i calcoli riescono molto più facilmente alle famiglie, anche le più umili e meno istruite, che allo Stato, nonostante tutti gli esperti che abbiamo avuto alla guida. 
Un esempio è presto fatto. Chiunque di noi, se ha un reddito, cioè uno stipendio, può chiedere un mutuo in banca, perché le entrate previste consentono di ripagarlo a rate. Ma se non si ha un lavoro, quindi neanche uno stipendio, inutile chiedere prestiti. È ovvio che non si è in grado di restituirli e che nessun istituto di credito li conceda. Salvo cercare forme alternative, a interessi altissimi al limite della legalità. 
Ragionamento semplice che riesce al signor Rossi ma, a quanto pare, non ai governi italiani. Di qualsiasi colore politico. E la Commissione europea, che dal momento dell’ entrata nell’Ue rappresenta il terribile impiegato di banca che decide se dare il prestito oppure no, non si è rivelata all’altezza del suo ruolo. Consentendo all’Italia di contrarre debito pur non avendone i requisiti. O meglio, facendocelo pagare caro. 
Continuando nel paragone: mentre tutti i nostri movimenti di conto corrente vengono passati al setaccio se chiediamo un mutuo in banca, il bilancio dello Stato passa invece inosservato. E via con gli sprechi. 
Nel 1991, il debito pubblico italiano era in lire l’equivalente di 748,48 miliardi di euro. Ieri, la Banca d’Italia ha certificato l’ultimo record di 2.278,9 miliardi. Significa che il valore della spada di Damocle che pende sulla testa di tutti noi si è triplicato. Aumentato di 1.530,42 miliardi in 26 anni. Una media di circa 60 miliardi all’anno. Più o meno equamente distribuiti fra tutti i governi che si sono succeduti nelle diverse legislature da Amato e Ciampi fino a Monti, Letta, Renzi e Gentiloni considerati anche i fattori esterni, dall’entrata nell’euro all’attentato alle Torri gemelle fino al terrorismo islamico, di cui le politiche economiche hanno dovuto necessariamente tener conto. In termini percentuali, il rapporto debito-Pil è aumentato dal 101,5% del 1991 a oltre il 133% di oggi, se va bene, perché alcune statistiche riportano anche 135,7%. 
A livello europeo, quello che conta è il rapporto debitoPil (dato percentuale), in quanto indica la sostenibilità del fardello. La capacità, cioè, del Paese di onorare gli impegni presi con i suoi creditori. Ma oltre un certo limite questo rapporto perde di significato. 
La sostenibilità del debito, infatti, è data dal tasso di crescita. Quindi dal denominatore (Pil). Se un debito è troppo alto e soprattutto continua ad aumentare come sta avvenendo in Italia, non c’è tasso di crescita che regga per renderlo sostenibile, cioè “ripagabile”. 
Al contrario, un debito basso è sostenibile anche con una crescita del Pil vicina allo zero. Ed è questa la differenza tra la Prima e la Seconda Repubblica, fino ai primi anni 2000, rispetto ad oggi. Negli anni del bengodi si faceva sì debito, ma almeno il sistema Italia produceva la quantità di reddito necessaria per ripagarlo. Come un lavoratore con un bello stipendio che stipula un mutuo per l’acquisto della prima casa. Nell’ultimo decennio, invece, il debito è aumentato nonostante la crescita al palo. Come il caso del disoccupato che, non si sa come, ottiene un prestito dalla banca pur non avendo la capacità di restituirlo. E un giorno ci rimetterà la casa, magari ereditata dai genitori. Sarà il momento in cui il treno deraglierà.