la Repubblica, 15 luglio 2017
Stupro al centro sociale, tre condannati
PARMA Un atto di violenza e prevaricazione nella ricorrenza più antifascista della città: stuprarono una “compagna” per una notte. Era il 12 settembre 2010: 88 anni prima, nel ’22, gli “Arditi del popolo”, gli anarchici e i comunisti di Guido Picelli, fermarono le squadracce di Italo Balbo che volevano espugnare lo storico quartiere rosso di Parma, l’Oltretorrente. Ma quella notte di celebrazione, nella sede della “Raf”, la Rete antifascista di via Testi, periferia della città, manda in pezzi la vita di Claudia (nome di fantasia) allora diciottenne, stuprata e filmata da tre “compagni”.
Ieri sera i tre, Francesco Cavalca, 26 anni, Francesco Concari, 30 anni e Valerio Pucci, 25 anni, sono stati condannati dal Tribunale di Parma che li ha riconosciuti colpevoli. Per Cavalca e Concari 4 anni e otto mesi, 4, invece, per Pucci. A carico dei tre, finiti agli arresti domiciliari nel 2015, il pm Giuseppe Amara aveva chiesto 9 anni, ma i giudici non hanno riconosciuto alcune aggravanti dimezzando la pena. Per tutti, però, è scattata l’interdizione dai pubblici uffici frequentati da minorenni e il risarcimento per la parte civile di 21 mila euro.
Ma la storia che accompagna questa vicenda è davvero raccapricciante. La ragazza, presumibilmente dopo essere stata drogata, fu violentata per una notte e lasciata come uno straccio su un tavolo di legno fino al mattino dove si svegliò nuda e in preda al terrore. Per la vergogna, per tutelare la famiglia e per lo sconcerto di aver subito un oltraggio dai “compagni”, Claudia non dice niente. E nemmeno dicono niente gli altri componenti della Rete antifascista cercando di seppellire sotto una spessa coltre di omertà l’accaduto. Non dicono una parola nemmeno le “compagne” e tutta quella parte della galassia antagonista che, anzi, reagisce emarginando Claudia.
L’orrore viene a galla casualmente solo a partire dalla fine di agosto del 2013, quando scoppia una bomba nei pressi di una sede di “CasaPound” e i carabinieri si mettono ad indagare tra i gruppi di anarchici e antagonisti. Interrogano anche Claudia, che precisa di essere ormai lontana da quel mondo. Ma i militari sequestrano alcuni cellulari dei militanti e da un vecchio Nokia esce fuori il filmato dello stupro. Sequenze terribili dove la ragazza è abusata più volte mentre qualcuno riprende. Le indagini individuano gli autori dello stupro e per Claudia comincia un altro incubo. Il gruppo della Rete antifascista difende gli stupratori, accusa la vittima d’essere una “infame” per aver coinvolto gli “sbirri” nella vicenda ed esercita pressioni nel tentativo di indurla ad alleggerire le accuse.
L’unica luce in questa vicenda è quella di un gruppo femminile, che si riconosce nella sigla “Romantic Punx”, il quale decide di uscire allo scoperto con un documento nel quale si denuncia «che uno stupro è sempre un atto fascista anche se chi lo commette si dichiara antifascista». Ciò che sconcerta le donne di “Romantic Punx” è il fatto che una modalità violenta di questo tipo sia scaturita da chi, per matrice ideale, dovrebbe essere totalmente altro da questi comportamenti. «Uomini – scrissero in un documento – che continuano a frequentare cortei e manifestazioni, che ridono, bevono birra ed escono con ragazze nonostante giri un video in cui fanno sesso con una donna che sembra morta».
(Ha collaborato Raffaele Castagno)