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 2017  luglio 15 Sabato calendario

Gli insulti dopo l’amore: Bonucci e l’arte di dividere

Cardiff ha sgretolato non la Juve, ma una precisa idea di Juve. Però quella finale non è la causa, bensì la conseguenza di uno sgretolamento incubato più in là, e quel giorno solamente venuto alla luce. Bonucci aveva rotto con Allegri, ma soprattutto con compagni e dirigenza, già prima. Dani Alves si lamentava del clima cupo negli spogliatoi fin dall’autunno, poi si ruppe una gamba e passò qualche mese lontano dal gruppo, così non si incupì ulteriormente e trovò il modo di resistere fino alla fine. È passato per traditore, eppure era sempre stato uno fedele: sei anni al Siviglia, otto al Barcellona. Solo con la Juve non ha legato. Cardiff è arrivata in capo a un’annata di scontentezze sotterranee, emerse nel momento peggiore ma annunciate da tanti piccoli gesti di nervosismo (Dybala, Higuain, Khedira, Alex Sandro, Barzagli, Cuadrado), che a metterli in fila diventano da insignificanti a significativi. Resta il fatto che due giocatori di dimensione mondiale, due tra i più forti del pianeta, hanno scelto di andarsene e non per soldi, come invece fecero Pogba e Vidal (che tra l’altro Marotta non vedeva l’ora di vendere, non riuscendo più a tenerne sotto controllo le intemperanze extracalcistiche). Anche Pirlo e Tevez mollarono dopo una finale perduta, senza però andare a rinforzare la concorrenza, mentre quello di Bonucci sembra uno sfregio, e così lo ha preso il popolo bianconero, inzeppando i profili social del giocatore e persino di sua moglie di insulti, e qualcuno è arrivato persino ad augurare la morte al figlio Lorenzo, guarito da pochi mesi da una grave malattia al cervello. Sembravano, certi juventini, molto uguali a certi napoletani traditi da Higuain. Da Torino fanno sapere che era necessario ripulire lo spogliatoio da due elementi di disturbo, perché così era ormai considerata la personalità debordante di Alves e Bonucci. In pratica la Juve avrebbe rimosso un paio di problemi, guadagnando in serenità quello che ha perso in valore calcistico. Il tempo dirà se davvero è così, ma di sicuro Allegri non aveva attriti con il brasiliano e con l’azzurro avrebbe convissuto in professionale serenità, come del resto ha fatto in questi mesi. Sono dunque evidentemente i rapporti tra compagni il difetto di uno spogliatoio che ha perso sacralità, se anche un terzo titolare fondamentale, Alex Sandro, ha chiesto da tempo di andarsene, senza contare le riserve (perlomeno Neto e Lemina, al momento) stufe di esserlo. Sandro non è stato venduto, e Marotta sta provando a fargli cambiare idea, solo perché non si trova un’alternativa all’altezza (avrebbe potuto esserlo Guerreiro, che però è finito ko e ne avrà per 4-5 mesi), ma il vero guaio della Juve è il senso di invulnerabilità perduto. Il club bianconero è diventato improvvisamente attaccabile, scalfibile, raggiungibile. E se la superiorità accumulata in questi anni dipendeva anche dalla soggezione che aveva saputo trasmettere agli avversari (compro quando e chi voglio e vinco di conseguenza), la storia di Bonucci apre una breccia. Leo non va a rinforzare solamente il Milan, ma tutti quelli che da oggi vedono la Juve con un occhio diverso: è una squadra che ha perso una finale, due pezzi importanti e il senso di perfezione.