Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  luglio 14 Venerdì calendario

FenomenAru. Froome crolla e l’italiano conquista la maglia gialla

Vuoi che un momento così resti indimenticabile, e allora cerchi di fissare ogni dettaglio. Scrivi, registri, filmi, poi a un certo punto capisci che stai facendo solo confusione e ti limiti a guardare. L’ora in cui Fabio Aru sale sul podio a ricevere la maglia gialla: le 17.18. La mano destra che saluta il pubblico, seguita dalla sinistra. La vestizione. Il mitico leoncino da una parte, il mazzo di fiori dall’altra. La gioia. I baci delle miss. L’apoteosi.
TETTO Fabio Aru è sul tetto del Tour. Ci è finito dopo una tappa tostissima e un finale da cinema, causalmente (o forse no) proprio sull’altiporto dove vent’anni fa girarono alcune scene dello 007 James Bond nel film «Il domani non muore mai». Fabio Aru è primo, con 6” su Froome, 25” su Bardet, 55” su Uran, e penseremo in un secondo momento al fatto che di tappe ne mancano ancora nove, che subito oggi ce n’è una ‘bastarda’, appena 101 chilometri ma tanta salita, che può succedere ancora di tutto con una classifica così corta. Perché intanto il sardo comanda un Tour a cui, a inizio stagione, neppure avrebbe dovuto partecipare. Quello che è successo è storia nota: l’infortunio al ginocchio prima del Giro, la tragica morte del compagno Scarponi, la decisione di virare sulla Francia dopo l’esperienza dello scorso anno, condotta bene ma finita male con la crisi di Morzine. Quello che succederà invece non si sa: soffia il vento di un’impresa che sarebbe memorabile, senza però dimenticare che resta lunga la strada verso Parigi.
MOMENTI È il giorno della tappa regina dei Pirenei, 214,5 km e 6 Gpm. E mentre tra i fuggitivi che cercano gloria si segnalano Diego Ulissi e Steve Cummings, britannico come Tommy Simpson morto al Tour esattamente 50 anni prima, Sky macina chilometri su chilometri in testa al gruppo, dando l’impressione che Froome voglia anche la tappa, per consolidare il primato. C’è pure il fuori programma di un ‘lungo’ in discesa in curva che coinvolge Chris e Fabio, che non si mollano un istante. Nessuna conseguenza, mentre Quintana e Contador confermano di essere lontani dalle loro versioni più belle. I migliori arrivano assieme all’imbocco di questo muro finale mai visto al Tour. Si vede che Fabio sta bene: è forte, sicuro, determinato. È l’impressione che sta dando dall’inizio del Tour, che ha iniziato da campione d’Italia. Così non c’è sorpresa nel vederlo partire, semmai arrivano gli ‘oohhh’ di meraviglia quando si capisce che Froome sta cedendo, che il suo primato è in pericolo. Fabio è in piena caccia del bis di La Planche des Belles Filles del 5 luglio, ma in questo senso gli mancano gli ultimi 100 metri. Lo passano Romain Bardet, che trionfa e si stende sull’asfalto, e Rigoberto Uran, ma lui porta a casa comunque i 4” d’abbuono del terzo posto mentre Froome arranca, non arriva più, mollato pure dal compagno Landa. Chiude a 22” da Bardet e a 20” da Fabio, che per 6” agguanta la prima maglia gialla della vita.
PRIMATO In vetta al Giro d’Italia c’era già stato. Per un giorno nel 2015, a Jesolo. La Vuelta, sempre nel 2015, l’aveva vinta: vestito di rosso a Madrid, con la bandiera sarda sventolata sul podio. E dal 2000 solo tre italiani si erano conquistati l’onore della maglia gialla: Alberto Elli (2000), Rinaldo Nocentini (2009), Vincenzo Nibali (2014). Non si tratta solo di statistiche. Trasudano emozione.
PROSPETTIVE Lo Squalo trionfò a Parigi, tre anni fa, sempre guidato da Beppe Martinelli (come anche Pantani nel 1998). Fabio Aru è stato in squadra con lui per quattro anni e adesso ne sta ricalcando le orme. Non bisogna avere paura a dirlo, perché è questo che le prime dodici giornate di corsa hanno detto: Fabio è stato accorto nella crono di Düsseldorf, si è sempre piazzato benissimo in testa al gruppo, ha firmato un assolo meraviglioso a La Planche des Belles Filles e domenica verso Chambery ha stretto i denti ed è rimasto con i migliori nell’unico momento di leggera difficoltà. Chris Froome aveva ammonito alla vigilia della tappa regina dei Pirenei che «su quel muro finale terribile se si va in crisi si può perdere del tempo importante», ma probabilmente mai avrebbe immaginato che gli si sarebbe rivoltata contro in modo clamoroso. In casa Astana avrebbero firmato per passare i Pirenei indenni: sulle Alpi la prossima settimana, quella decisiva, ci saranno Croix de Fer, Galibier e Izoard, che sembrano fatti per il sardo, prima della crono di 22,5 km di sabato 22 a Marsiglia che sulla carta consegna un margine (un minuto?) a Froome. Ora la prospettiva è diversa e imprevedibile, visto che il team kazako ha perso Cataldo, ha un Fuglsang fratturato (ieri a oltre 27’, chissà se potrà continuare ) e non sarà facile gestire la corsa. Ma quando con la coda dell’occhio vedi Fabio che sale in macchina e si allontana da Peyragudes, è l’ultimo dei pensieri. Perché in quell’auto c’è una maglia gialla meravigliosa. È sua, è nostra, è italiana.