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 2017  luglio 13 Giovedì calendario

Banchiere, pratico e arrogante. Trovato l’uomo giusto per la Fed

La notizia bomba ha preceduto di qualche ora la testimonianza di Janet Yellen al Congresso, probabilmente una delle ultime e senz’altro delle meno sorprendenti della presidente della banca centrale più potente del mondo che si è limitata a ripetere i concetti più volte esposti in queste settimane. Al contrario, Donald Trump, secondo un report di “Politico”, ha rotto gli indugi e individuato in Gary Cohn, oggi a capo dei consiglieri economici della Casa Bianca, l’uomo che guiderà la banca centrale più potente del pianeta dal prossimo febbraio. 
Le possibilità di una conferma della Yellen «sono vicine allo zero», spiega un collaboratore del presidente. Intanto Cohn, da mesi in pole position per l’incarico, sembra aver superato le resistenze dei falchi repubblicani, che non vedono di buon occhio l’avanzata di Cohn, già vicino ai democratici ed apertamente ostile ad alcune campagne dell’amministrazione, dal protezionismo alle barriere contro gli immigrati. 
Ma la grande novità è che, dopo una lunga striscia di accademici, saliti alla presidenza della banca centrale dall’università o dagli uffici studi, alla guida della banca arriva un finanziere che ha alle spalle un quarto di secolo di esperienza nella prima linea dei mercati, nelle sale operative dei derivati azionari e delle materie prime. «Uno come lui ha commentato a caldo Jim Cramer, l’opinionista di Cnbc vale da solo un 5% in più per gli indici di Borsa. Lo conosco: è la persona giusta per dar la sveglia alla Fed». Ma l’opinione di Cramer, ex Goldman Sachs, è senz’altro partigiana: Cohn ha militato nelle fila della banca dal 1990 al 2016, scalando la gerarchia dell’istituto fino a diventare il numero due, alle spalle di Lloyd Blankfein. Una lunga carriera, chiusa nel 2015 con una liquidazione di 285 milioni di dollari, in cui non mancano le tappe oscure: nel 2009 fu a capo della missione di Goldman incaricata di aiutare la Grecia a nascondere con una serie di derivati, la drammatica situazione delle finanze di Atene dopo anni di finanza facile. 
La lunga militanza in Goldman Sachs di questo figlio di un elettricista, dislessico da bambino, esuberante («dite pure arrogante» dice un ex collega citando l’abitudine di ricevere i clienti con i piedi sul tavolo) rappresenta l’aspetto più criticato sia dall’opposizione democratica che da una parte dei repubblicani. «Dieci anni dopo lo scoppio della grande crisi ha detto la senatore Elisabeth George possiamo trovarci alla guida della Fed un esponente della banca che più è stata aiutata dal governo». Eppure Cohn, uno spirito pratico, alieno dal dogmatismo, potrebbe guidare la riforma delle regole in maniera più cauta di quanto invocato da alcuni banchieri: in passato si è espresso più volte per il ripristino della Glass-Steagall, la legge che imponeva la separazione tra banche commerciali e banche d’affari. 
Vista dall’Europa, la domanda più importante riguarda, ovviamente, il costo del denaro. Fin dai primi contatti con Donald Trump, Cohn ha convinto il presidente che un dollaro troppo forte rischia di essere un danno per l’export americano, così come per l’inflazione, che non accenna a salire. Per questo la sua ascesa non dovrebbe coincidere con una forte ascesa dei tassi in aperta collisione con la politica della Banca Centrale Europea. Ma è meglio non nutrire troppe illusioni: il nuoco presidente potrebbe imporre ritmi accelerati al rientro al normalità del budget della Fed dai 4.500 miliardi accumulati durante la crisi. In quel caso, le conseguenze si faranno sentire anche da noi.