la Repubblica, 14 luglio 2017
Aru in giallo. I 400 metri che hanno ribaltato il Tour. Froome piegato da uno scatto solo
Come fondatore e presidente dell’Abc (Antioreillette Bardet Club) e mezzo sardo, potrei anche andarmene a casa, perché una giornata così (tappa e maglia gialla) chissà quando ricapita, e invece no. Invece è bello restare per capire come andrà a finire questo Tour che s’è aperto come un cocomero su questa salita che negli ultimi 400 metri sembra il Muro di Huy, ed è lì che Aru ha piazzato il suo scatto e ha metaforicamente spezzato le gambe a Froome. Froome è battibile, si diceva nei giorni scorsi. A patto che qualcuno lo attacchi, ovviamente. La prova: Froome è battuto. Ma la strada per Parigi è ancora lunga, non illudiamoci troppo, proviamo a fare come Aru quando dice che è bello dopo una giornata così andare a letto felici: ma da oggi comincia la rumba.
Di una tappa di 214 km si può ricordare una fuga con velocisti (Kittel, Matthews, Ulissi che ogni tanto fa capolino), il tentativo solitario di Cummings, la sofferenza di Fuglsang che era 5° In classifica e si ritrova 23°, un patetico allungo di Contador, un cedimento di schianto di Quintana. Il ritmo è sempre scandito dagli uomini di Froome: Kiryienka, Kwiatkowski, Nieve e Landa, in ordine di spremitura. Quando un capitano mette alla frusta la squadra è perché vuole vincere e Froome ci tiene a vincere sulla salita in cui, da gregario, fece teatrino con Wiggins, il capitano. Che Froome non sia quello dell’anno scorso si capisce da alcuni particolari: ha rischiato due volte di cadere in discesa e il suo vantaggio su Aru e Bardet era essenzialmente dovuto alla cronometro di Düsseldorf. Nei Tour vittoriosi aveva dato uno scrollone all’albero giallo fin dalla prima tappa di montagna e aveva portato a casa il raccolto. Detto che la Planche des Belles Filles era l’arrivo ideale per Aru (ma lo era stata anche per Froome), la prima tappa di montagna era ieri, e Froome ha toppato clamorosamente, ai confini dell’autogol quando ha ordinato a Landa di alzare la velocità: si è scottato al fuoco che aveva acceso, succede. Ma l’ha ammesso onestamente: «Non avevo le gambe per inseguire Aru, né Bardet. Ho perso una battaglia ma non la guerra, il Tour non finisce qui».
Verissimo. Qui comincia, in un certo senso, con due ventisettenni molto simili che vanno all’assalto del cielo, del mai vissuto, anche se Bardet, secondo l’anno scorso, un po’ di zucchero l’ha assaggiato e Aru è salito su più di un podio (gradino più alto alla Vuelta). Hanno studiato, Aru il classico, Bardet laureato in management, per il Tour ha interrotto un master a Clermont Ferrand. Bardet è abbonato a “Le Monde diplomatique” e apprezza molto un bicchiere di vino buono e rosso. Aru è per quelli della sua isola, Bardet per Cotes du Rhone e Barolo (potrei dargli qualche indirizzo buono). Simili nel fisico, nella specializzazione (scalatori), nelle lacune (cronometro e sprint). Simili nella pianificazione della tappa, ma Bardet è più istintivo. La AG2R non è nemmeno parente della Sky, ma è messa meglio dell’Astana, che dovrà cercare alleanze da qualche parte, sempre che trovi. In sostanza, Aru è maglia gialla e dovrebbe difendersi, anzi dovrà, ma la classifica con Froome a 6”, Bardet a 25” e Uran a 55” non dà garanzie né certezza. Ah, il distacco di Uran era di 35”, altri 20 glieli hanno appioppati per rifornimento in zona vietata (a 5 km dal traguardo). La sanzione scatta quando a passare la bevanda, dal ciglio della strada, è un signore che fa parte della stessa squadra. Nel caso, un meccanico. Girava voce che i 20” di penalizzazione, che non avrebbero mutato l’ordine d’arrivo, sarebbero toccati anche a Bardet, cui hanno passato da bere, ma era un tifoso qualunque, non collegabile all’AG2R. Bardet ha escluso alleanze con Aru («meglio che ognuno faccia la sua corsa») ricordando il non necessario aiuto dell’Astana a Froome quand’era in fuga verso Chambery. Il suo ds Vincent Lavenu, quando gli hanno chiesto come sarebbe stata la tappa di oggi, ha risposto con un solo, calzante aggettivo: «Scucita». Un gran lavoro di ricucitura aspetta Aru e i suoi. A meno che Fabio non chiuda la bocca a tutti attaccando in maglia gialla. Merckx e Hinault l’hanno fatto, ai tempi loro, ma qui mi fermo per non caricare altre responsabilità sulle spalle di Aru. Gli altri: Uran bene, in genere cala nella terza settimana. Dan Martin sempre lì, brutto cliente. Nei 10, ancora, corridori atipici, di quelli che non s’accontentano di finire ottavi o noni. Come il neozelandese George Bennett, ex giocatore di rugby, ateo convinto («Tutte le religioni sono dannose») e molto impegnato nella difesa dell’ambiente. Uno dei più in forma è Landa, uomo Sky. Quando ha capito che per Froome non c’era nulla da fare, è schizzato avanti cercando di strappare un abbuono. Non ce l’ha fatta, ma la sua progressione è stata impressionante.
Fin qui Aru ha corso un ottimo Tour. Per come s’era messa la corsa ha fatto bene ad aspettare, a muoversi solo sul tratto più duro del percorso. Non aveva fatto i conti con Bardet, che dovrà fare i conti con le aspettative dei francesi. L’ultimo Tour lo hanno vinto nel 1985 con Hinault, che almeno ieri si sarà divertito. Dei due galletti sul podio, Bardet e Pinot, è rimasto solo Bardet. I bardettologi avevano previsto per lui zero vittorie. Le due, al Tour, sui traguardi di St. Jean e di St.Gervais. Niente santi negli arrivi di quest’anno, ma le previsioni sono fatte per essere smentite. Il ragazzo Bardet in gruppo non è guardato con diffidenza come Fignon, il parigino con gli occhialini d’oro e la coda di cavallo, l’intello, l’intellettuale. Bardet è nato in Alvernia, come Poulidor, e ha imparato a essere più sfumato nelle risposte. A chi l’anno scorso gli diceva «Romain, la Francia ti aspetta», rispondeva «non mi risulta di aver firmato un contratto con la patria». I gregari lo amano: «È gentile, non si dimentica mai di dire grazie». A me piace il suo gusto dell’avventura, e vale anche per Aru. Che “Le Monde” continua a dipingere immerso in relazioni pericolose (Olivano Locatelli da dilettante, Martinelli e Vinokourov da professionista) e questo potrebbe mandare il vino in aceto. Di sicuro Vinokourov non è un santo, ma qualcosa di ciclismo capisce. Ha detto: «Fabio mai stato così bene, può vincere il Tour. Froome l’ha già perso». Non ho certezze kazake. Occhio a Bardet nell’ultima discesa.