La Verità, 14 luglio 2017
Le prigioni italiane sono un colabrodo. Ecco tutti i numeri
Ci sono quelli del classico buco nel muro, c’è chi ha segato le sbarre e chi è riuscito a fuggire come nei film di Hollywood: calando le lenzuola dalla finestra. Molti hanno approfittato delle maglie larghe dei regolamenti penitenziari e si sono dati alla macchia. Alcuni sono seriali e, nonostante ciò, sono riusciti ancora a ottenere «aiutini» per evitare la detenzione classica, quella dietro le sbarre. Ci sono ergastolani, assassini, rapinatori e anche jihadisti. Qualcuno ha deciso di tornare e si è consegnato, altri sono stati acciuffati. L’evasione all’italiana conta nell’ultimo anno 114 primule rosse: sei sono fuggiti dal carcere, 34 durante i permessi premio, 23 hanno approfittato del lavoro esterno, 14 della semilibertà e 37 godevano di altre misure alternative. Gli ultimi a lasciare le carceri colabrodo italiane sono Igor Vaclavic, il russo primula rossa, Johnny lo zingaro, alias Giuseppe Mastini, l’ergastolano che due settimane fa è uscito dal carcere di Fossano per andare a lavoro ed è sparito e Ismail Kammoun, un tunisino condannato nel 2002 in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di un poliziotto a Palermo ed evaso dal carcere di Volterra. Era considerato un detenuto modello e lavorava nella sartoria dell’istituto penitenziario. Finché non ha pianificato la fuga. I tre sono diventati famosi perché sono quotidianamente su giornali e tv. Ma le evasioni sono all’ordine del giorno. E a fuggire non sono solo gli ergastolani.
Ieri, ad esempio, tre detenuti hanno lasciato il carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia. Dovevano scontare pene inferiori ai sei anni. Hanno divelto un’inferriata della palestra e se ne sono andati di corsa. È stata più rocambolesca, invece, la fuga di tre rapinatori romeni, nello scorso mese di febbraio, dal carcere fiorentino di Sollicciano. Hanno bucato il muro della loro cella, si sono calati con un lenzuolo nel cortile e hanno scalato e scavalcato il muro di cinta (uno si è poi costituito e gli altri due sono stati catturati). Qualcosa di simile era accaduto un anno fa a Rebibbia. Buco in cella e lenzuolo. Gli evasi erano considerati molto pericolosi. Il più temibile: Basho Tesi, condannato all’ergastolo per omicidio, armi e sfruttamento della prostituzione.
E sempre da Rebibbia, con le lenzuola, nel 2014, erano evasi Giampiero Cattini e Sergio Di Paolo. Lasciarono addirittura un biglietto di scuse alla direttrice del penitenziario.
In fuga anche gli islamisti in odore di jihad. A maggio i poliziotti della Questura di Padova sono riusciti a rintracciare e arrestare Mohamed El Hachimi, marocchino pluripregiudicato segnalato come islamista radicalizzato.
Nel periodo di detenzione aveva professato di appartenere allo Stato islamico, motivo per cui era stato inserito dalla struttura penitenziaria tra i detenuti da monitorare con particolari attenzioni. Anche lui è evaso approfittando di un permesso premio.
Ma le carceri si svuotano anche di ’ndranghetisti e camorristi. Dal supercarcere di Voghera sono riusciti a scappare Tommaso Biamonte e Alessandro Covelli, due calabresi sessantenni affiliati alla ’ndrangheta, che qualche anno fa decisero di passare dalla parte della giustizia e accusare alcuni loro compari di cosca. Anche questi due malavitosi hanno sfruttato i permessi premio per architettare la fuga. Biamonte doveva scontare l’ergastolo per omicidio. Nell’agosto del 1991 uccise a colpi di pistola un tassista di Biella. Anche in quel caso era in fuga, all’epoca dal carcere di Vercelli, dopo essere evaso da un permesso premio. Covelli, detto Sandrino, avrebbe dovuto scontare 30 anni di carcere: negli anni Ottanta era considerato il capo della cosca Gumari-Covelli di Crotone, banda che gestiva lo spaccio di droga in un’area compresa tra la Lombardia e la Calabria. Con l’immarcescibile lenzuolo, invece, è scappato il boss della camorra Alessandro Menditti, che ha lasciato il carcere di Frosinone il 18 marzo scorso. È stato arrestato nove giorni dopo. Felice D’Ausilio, ergastolano napoletano conosciuto come Feliciello, un anno fa ha sfruttato, invece, il permesso per far visita a un familiare. È evaso dal carcere di Nuchis in Sardegna. Era la prima volta che otteneva dal magistrato di sorveglianza un permesso. Il professionista della fuga è un albanese, Taulant Toma, di professione rapinatore. Evade dal carcere di Terni nel 2007. Quando lo riprendono finisce nell’istituto di pena di Parma con un connazionale, Valentin Frrokaj. E con lui scappa il 2 febbraio 2013. Frokkaj lo prendono qualche mese dopo e lo mandano al Pagliarelli, da dove, ancora incredibilmente, se ne va il 7 maggio 2014. Taulant lo beccano a Liegi, in Belgio. Mentre si è in attesa dell’estradizione scappa anche dal carcere di Lantin. La media dell’ultimo anno è di un evaso al mese (dati del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria): sono sette i detenuti che ce l’hanno fatta. «Questo è il prezzo della follia di un’amministrazione che ha voluto togliere i poliziotti penitenziari dalle sezioni, eliminando ogni controllo e lasciando liberi i detenuti di fare ciò che vogliono», sottolinea alla Verità Donato Capece del Sappe, il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria. «Se hanno ancora un po’ di dignità», prosegue, «i vertici del Dap dovrebbero dimettersi».
Certo, se le fughe non si contano, l’altra faccia della medaglia sono le scarcerazioni facili. Il giovane nomade Remi Nikolic, che nel 2012 travolse e uccise l’agente di polizia locale Nicolò Savarino, dopo soli 5 anni ha già ottenuto l’affidamento in prova e può frequentare corsi di teatro. Ed è già tornato libero il bracciante macedone di 32 anni arrestato per una presunta violenza sessuale a una pensionata di 82 anni ad Agliano Terme.
Insomma, dove non arrivano le lenzuola, i buchi nei muri e i tunnel sotterranei che si vedono nei film, ci pensa lo Stato a garantire lo spettacolo.