La Stampa, 14 luglio 2017
La Regina delle Alpi, non c’è bellezza senza spine
Ormai la «Regina delle Alpi», l’Eryngium alpinum, una volta pianta perenne comune nelle gole delle nostre montagne, non cresce che nei giardini ed è molto rara in natura. La si può trovare soltanto nei giardini montani, soprattutto in quelli d’Austria, di Germania, dei Paesi Scandinavi e di Scozia. Una raccolta folle e spregiudicata l’ha nel tempo decimata, sacrificandola in nome di un gusto per i fiori alpini essiccati che spesso, almeno a mio giudizio, ha ben poco di naturalistico.
In Italia la «Regina delle Alpi» è ormai una rarità e la si può trovare spontanea soltanto in pochissime stazioni disperse tra le Alpi piemontesi e quelle friulane. Per fortuna oggi è una specie protettissima, addirittura più della stella alpina, e non sarebbe male seguire l’esempio dei sempre inappuntabili svizzeri che da anni ne tentano il ripopolamento nelle loro valli. O almeno, come accade nelle terre fredde del nord, potremmo convincerci a coltivarla nei giardini, non in tutti ovviamente, dai 1200 metri in su. D’altronde non fa parte anche questo di una certa etica di noi giardinieri, il contribuire a salvare e preservare ciò che in natura va scomparendo?
La storia
Dalle mie parti ci aveva pensato un curioso e appassionato personaggio, Don Giovanni Culasso, vero antesignano. Sopra Pietraporzio, in Valle Stura, coltivava il prelato giardiniere il genepy e (con maggiore successo) piantava l’eryngium in quantità: d’estate la fioritura blu metallica e cangiante era un autentico e imponente colpo d’occhio.
Ma, ben al di là della mia «granda» provincia, fu l’arciduca Giovanni d’Asburgo il più illustre sostenitore della pianta, lui che, allontanato dalla corte in seguito a un fallimentare debutto guerriero e a un amore proibito ma tenacemente perseguito, decise di rifugiarsi nella Stiria di Mariazell. Eroe romantico per eccellenza, fu il grande modernizzatore di quelle terre e per primo ispirò il senso di un’identità che da allora non si è più persa. Nei boschi di Brandhofen, rigorosamente vestito alla tirolese, poté dare sfogo alle sue passioni naturalistiche, descrivendo piante, raccogliendo minerali e scalando montagne e c’è persino una profumata orchidea selvatica che porta il suo nome (Nigritella archiducis-joannis): della «Regina delle Alpi» scrisse più volte, un vero leitmotiv delle sue celebri traversate.
La specie
Pur ricordando i ben più comuni cardi di montagna, l’Eryngium alpinum è un’ombrellifera. Già lo stesso Rousseau in una sua lettera se ne stupiva: in una famiglia in cui le specie si somigliano un po’ tutte è davvero una voce fuori dal coro. Le sue foglie grigie e dentate, gli alti steli che virano al cobalto e soprattutto i grandi fiori color ametista, con le innumerevoli brattee frastagliate che avrebbero fatto la gioia di William Morris, lo rendono unico e speciale. Attenzione perché è parecchio spinoso: pare infatti che il nome derivi dall’Erinaceus europaeus, il riccio comune delle nostre campagne.
I vivai, quelli più specializzati, propongono cultivar diverse e, a leggere le descrizioni, ciascuna sembra essere più blu delle altre. Non resta che provare: tra i più consigliati l’E. a. «Superbum» e l’E. a. «Blue Star». Esistono poi altre specie, forse meno appariscenti ma con sfumature di blu e di viola comunque degnissime di nota e soprattutto adatte a quote anche più basse, come l’E. x zabelii (consiglio l’E. x z. «Big Blue») e l’E. Amethystinum. Di un argento quasi iridescente è poi l’E. Giganteum, quello amatissimo dalla grande giardiniera inglese Miss Ellen Willmott, che era solita lasciarne cadere segretamente un po’ di semi nei giardini che visitava. Non per nulla è ancora chiamato «Miss Willmott’s ghost».
L’Eryngium alpinum si semina in autunno perché per germogliare vuole il freddo ed è meglio farlo nel posto che sarà definitivo: le sue lunghe radici non amano affatto venire disturbate. Il pericolo maggiore, come per tutte le ombrellifere, sono i marciumi invernali: un terreno sabbioso, meglio se leggermente calcareo, assolutamente drenante è un presupposto imprescindibile. Oltre naturalmente a una posizione ben assolata ma fresca: solo così si potranno ottenere gli effetti rari e inusuali di una pianta elegantissima.