la Repubblica, 13 luglio 2017
Tour, monologo Kittel Aru sale sui Pirenei con la squadra a pezzi
PAU Dice Aru: «Per noi è una perdita grave». Sì, perché Cataldo stava facendo un bel lavoro di squadra. Da come si tiene il polso sinistro, seduto sull’asfalto, si capisce che è una cosa seria. Infatti deve ritirarsi. Anche Fuglsang va giù (due piccole fratture a scafoide e gomito), anche Bardet, anche Contador. Si cade anche se il gruppo non va forte. Cataldo cade proprio vicino alla cappella di Notre Dame des Cyclistes, sorta alla fine degli anni ’50 su iniziativa dell’abate Massie. Ricorda un po’ la Madonna del Ghisallo: luogo di culto maggiore e di un culto minore, la bici. Qui furono celebrate le nozze di Luis Ocaña, oggi si sale il col de Menté, dove Ocaña perse per caduta un Tour già vinto, con Merckx rassegnato. Ieri abbiamo attraversato le terre dove Ocaña produceva vino e Bas Armagnac, prima di tirarsi una fucilata in testa. Il figlio non credette al suicidio e denunciò Josiane, la madre, per omicidio. Il giudice archiviò il caso: suicidio. È una storia da tragedia greca e l’ho già raccontata nei dettagli. Ora solo un accenno, perché Cataldo è caduto proprio lì davanti. Si cade perché si è timidi e si ha paura di cadere, si cade perché si è spavaldi e non si calcolano i rischi, si cade perché basta una sbandata di cinque centimetri a provocare uno strike. Nel caso di Cataldo, sembra che la colpa sia di una borraccia vuota che qualcuno del gruppo ha creduto di lanciare fuori, ma è ritornata in strada. Si cade e ci si rompe perché solo la testa è protetta dal casco, ma quando si cerca di attutire l’impatto col suolo polsi e clavicole ci vanno di mezzo.
Dopo sette fette ha capito che era polenta. Nel nord Italia questo è il modo di definire un tipo non propriamente sveglio. Dopo 11 giorni in cui Kittel ha vinto 5 sprint su 6, e 5 vittorie in 11 giorni non le aveva messe insieme nemmeno Merckx, il gruppo deve aver capito che il più forte è Kittel ma non ha ancora capito come impedire che vinca sempre lui. Pure, sarebbe semplice: variando tattica. Secondo Kristoff, «solo se Kittel sbaglia possiamo batterlo». Vero, ma continua a non sbagliare. E allora? Allora abbiamo davanti due tappe di montagna e gli sprinter hanno altro cui pensare: come arrivare in tempo massimo, per esempio. E intanto, fuga a tre: Bodnar, Backaert e il razzapiave Marcato. Mai più di 5’ di vantaggio. Quando mancano 28 km a Pau Bodnar decide di provarci da solo. È una pazzia e lo sa anche lui, ma ci prova. Grazie a nome di quelli che ci provano, appena possono. Bodnar è un polacco molto forte a cronometro. E si vede. La sua mossa sconcerta il gruppo, avvezzo alle teste chinate davanti alla sua legge bovina. Bodnar fa un numero da circo, meraviglioso per l’ostinata potenza, commovente perché si sa già come andrà a finire. Un ciclista da solo non ce la può fare contro cinquanta ciclisti allupati. È la caccia alla volpe, anche se Bodnar della volpe ha poco, è abbastanza cinghialesco. Flash sulla sua gloriosa agonia: ha 40” di vantaggio ai meno 12, 35” ai meno 7, poi è uno sgocciolio inesorabile e (secondo gli dei del ciclismo che al momento guardano altrove) ingiusto. È Bauer, ai 240 metri, il primo della muta a raggiungerlo, esattamente quel Bauer che le trenate di Bodnar avevano inchiodato, insieme ad Elmiger, a 20 metri dalla linea bianca, tre anni fa a Nîmes. Volata senza storia: Sabatini pilota Kittel a memoria, Kittel esce dalla ruota di Matthews. Siccome è cominciato anche il ciclomercato, sembra che Kittel sia sensibile alle proposte della Katusha, portandosi appresso Sabatini. Per ora, la Quick Step dispone dei migliori velocisti, così diversi tra loro: il colombiano Gaviria (4 tappe al Giro) e il tedesco Kittel (5 al Tour, per ora).
«Sono contento che siano finite le tappe di pianura», sbuffa Bardet. Sono contento anch’io, per altri motivi. Nella caduta Bardet non ha riportato danni. Quelli di Fuglsang, che prova comunque a partire, non sono il viatico migliore per le tappe pirenaiche. Froome teme di più la seconda: «Se affrontati ad alta velocità, 101 km possono fare molto male». Giusto. Se a Foix aspetto Aru, oggi è più una tappa per Bardet. Sarebbe opportuno che s’incaricassero di farci sapere in che condizione è Froome, che fin qui ha corso molto al riparo e ci sta pure che bluffi, ma ha un vantaggio sottile, specie su Aru, e non può far conto soltanto sulla cronometro di Marsiglia. Nella conferenza stampa gli ricordano che oggi sono 50 anni dalla morte di Simpson, primo inglese in maglia gialla. E lui: «Simpson ha aperto una strada che poi molti ciclisti inglesi hanno percorso, me compreso. Credo che sul Ventoux arriveranno migliaia di persone a rendergli onore». Sulla tattica da seguire è sicuro: «La prima cosa è impedire il ritorno di quelli che abbiamo staccato a Chambery. La seconda è non farmi staccare. Vediamo chi si muove. Siccome Aru è il più vicino, starò incollato a lui». Giusto, vediamo chi si muove. Sia chiaro che il Tour non lo si vince sui Pirenei ma lo si può perdere.