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 2017  luglio 13 Giovedì calendario

Alla Bohème in shorts e infradito e la Scala d’estate dimentica l’eleganza

MILANO Arriva l’estate, e puntualmente riparte il tormentone, Gli abbonati e i frequentatori storici della Scala si lamentano sui social: molti spettatori, soprattutto i turisti e i giovani, entrano in teatro con un abbigliamento non adatto al prestigio del luogo, come se stessero andando alla spiaggia. Una signora racconta sul gruppo Facebook della Barcaccia, la trasmissione radiofonica dedicata all’opera, che durante la recita di Bohème del 5 luglio alcuni 25-30enni americani sistemati in Loggione, oltre a sfoggiare abiti da gita in campagna, nell’intervallo hanno tirato fuori dalla borsa un sacchettone di Mc Donald’s e si sono messi ad addentare panini «come se fossero alla sagra della porchetta». Orrore, sconcerto, disappunto soprattutto perché le maschere non sono intervenute. I commenti sono quasi tutti conformi: «Purtroppo siamo allo sfacelo dell’etichetta», oppure «Concedere queste libertà non significa essere moderni».
Ma quali sono le regole? Inutile ricordare che, in sala, non si possono consumare cibi o bevande. E per quanto riguarda l’outfit? Sul retro dei biglietti è scritto nero su bianco che per gli uomini è d’obbligo l’abito scuro. Ma è chiaro che, soprattutto per le repliche e nei mesi caldi, non ha senso pretendere un rispetto rigido della norma. Da due anni, d’altra parte, in biglietteria è stato affisso un cartello: «La direzione invita il pubblico a scegliere un abbigliamento consono al decoro del teatro, nel rispetto del teatro stesso e degli altri spettatori. Non sono ammessi spettatori che indossino canottiere o pantaloncini corti». Una decisione presa dopo che, durante i mesi di Expo, un signore cinese si era presentato con i sandali infradito, la canottiera e gli shorts.
Non tutti però fanno caso all’avvertimento e, se fermati all’ingresso, se la prendono con le maschere, a volte con parole non proprio da educande. Racconta una di loro: «Episodi del genere accadono tutti i giorni. Spesso siamo costretti a impedire l’accesso a chi non rispetta le indicazioni. Su canotta e pantaloncini siamo tassativi. A quel punto consigliamo di andare da H&M, che non è distante da piazza Scala, a comperare un paio di pantaloni lunghi. Molti, soprattutto gli stranieri, si precipitano in negozio e si ripresentano. Altri, invece, più facilmente gli italiani, ci fanno pure una sfuriata». In ogni caso si vedono parecchi uomini che, pur indossando i calzoni lunghi, ai piedi hanno sandali aperti, zoccoli del Dr Scholl’s, e persino infradito: «In quel caso non possiamo fare nulla. Così come non possiamo bloccare una signorina che indossa una minigonna inguinale». La Scala precisa che, in quanto a dress code, quello milanese è il teatro più rigido in assoluto: a Londra, Parigi e nei teatri tedeschi non si pongono limitazioni e neppure al Metropolitan, dove però l’eleganza viene premiata sul blog con interviste e foto.
Schermaglie ed episodi spassosi a parte, i temi che emergono sono due. Primo: è aumentata la maleducazione del pubblico e, più in generale, del costume? Sembrerebbe di sì, a vedere quanti cellulari in sala hanno lo schermo acceso: silenziati ci si augura, ma pur sempre attivi per scambiarsi sms e consultare Google. Secondo: qual è l’idea della Scala che deve prevalere? Quella di un teatro d’élite che la avvicina a un tempio sacro? O quella aperta a un pubblico sempre più ampio? Chiaro che, se a prevalere è la seconda filosofia, non ci si deve stupire se la gente va a teatro come al cinema.
Insorge una storica abbonata scaligera, Claudia Buccellati: «Penso che sia una questione di comunicazione efficace. Gli spettatori non leggono il cartello? Allora significa che non serve. Bisogna allegare al biglietto un foglio con stampate le regole chiare e tonde. Poi, però, bisogna anche farle rispettare. Solo così si onora il brand Scala». Ma sui social c’è anche chi si dimostra molto più liberal: «Se qualcuno entra in jeans e sandali, cosa importa? Quel che conta è che sia lì per ascoltare la musica».