la Repubblica, 13 luglio 2017
Renzi-Letta, lite finale sulla staffetta al governo. E Prodi va da Pisapia
ROMA Tre anni dopo quell’«Enrico stai sereno» che suonò come il De profundis per il governo Letta, i rapporti tra Matteo Renzi e l’ex premier Pd raggiungono il punto più basso mai registrato. La colpa è dei giudizi e degli aneddoti contenuti nel nuovo libro del segretario Dem, “Avanti”, rilanciati ieri, nel giorno dell’uscita in libreria, con una strategia di marketing a tappe forzate: quattro interviste (una radio, tre tv) e una conferenza stampa, antipasto del tour di presentazione.
«Non mi interessa fare polemica», premette Renzi, prima di tornare al febbraio 2014 quando raccolse la famosa campanella di Palazzo Chigi dalle mani del suo predecessore. «Quel governo era bloccato», dice. Di più: «Nessuno ricorda un solo provvedimento degno di questo nome in un anno di vita di quell’esecutivo». Letta, poi, reagì alla “staffetta” «entrando in modalità broncio». E non solo: «Ci sono intere carriere costruite sul vittimismo anziché sui risultati». Nessun «golpe di palazzo», è la sintesi di Renzi, ma «un’operazione di democrazia interna» sollecitata «dalla minoranza Pd» di allora, protagonista poi della scissione di febbraio.
Troppo per l’ex premier: «Sono convinto che il silenzio – dice Letta da Parigi dove insegna alla Grande école di Studi politici – esprima meglio il disgusto e mantenga meglio le distanze». La stessa frase che il capo dello Stato Sergio Mattarella usò, nel 1989, per ribattere a Claudio Martelli, vicepresidente del Psi, che aveva dipinto “ombre mafiose” sul padre dell’allora ministro del governo Goria. Citazioni a parte, la rottura con Letta è totale, rivendicata da Renzi che, assicura, non metterà mai «in soffitta la parola rottamazione».
Ma insieme allo scontro con Letta, c’è un’istantanea che descrive le lacerazioni nel centrosinistra: è la foto che ritrae l’ex premier Romano Prodi, il capo della minoranza interna del Pd, Andrea Orlando, e il leader della nascente formazione alla sinistra dei Dem, Giuliano Pisapia, sorridenti, a colloquio ieri a Bologna, al termine della presentazione di un libro: Orlando e Pisapia relatori, Prodi spettatore interessato. «Sono venuto a fare un saluto, a prendere mia moglie Flavia», presente tra il pubblico, ha scherzato il professore che allontana ancora un po’ la sua “tenda” dal Pd e compensa l’assenza in piazza Santi Apostoli a Roma il primo luglio per il battesimo della “creatura” di Pisapia e degli ex Pd di Mdp. In quell’occasione Orlando era presente e oggi il Guardasigilli dice di Prodi che «rappresenta il centrosinistra: è una figura di riferimento per chi ha vissuto la costruzione dell’Ulivo. Il passato ha luci e ombre e Prodi è tra le luci con la sua vittoria del 1996».
I tre, ieri a Bologna, almeno in pubblico, non commentano le frasi di Renzi, mattatore della giornata con il lancio di “Avanti”. Qualche pillola dal libro. Sulla sconfitta del 4 dicembre: «Volevo smettere davvero. Sono rimasto dopo 26.000 mail ricevute in quei giorni che dicevano “non è colpa tua, torna a combattere”». Su Massimo D’Alema: «Lunga vita a lui, non è mai stato antiberlusconiano». Su un ipotetico governo con Silvio Berlusconi: «Non mi ha mai votato la fiducia». Errori? «A volte appaio più simile al piazzista che allo statista». E poi, il fronte privato: «Mi piace provocare ma non sono cattivo. Nei 1000 giorni al governo ho anche pianto, ma ho fatto bene a non farlo in pubblico». E, infine, il lato “pop”: «In cucina ci ha fregato Masterchef, io so fare pasta al burro e frittata. Una canzone? Se devo scegliere, scelgo Vasco: io “Vado al massimo” ma la mia non è una “Vita spericolata”».