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 2017  luglio 13 Giovedì calendario

Dylan Dog. La nuova sfida del regista: «Sto scrivendo una storia a fumetti in bilico tra giallo e horror. Sarà dissacrante come i miei film»

«Sarà un Dylan Dog raccontato come le storie dei miei film. Un personaggio ribaldo e dissacrante, in bilico tra giallo e horror. Circa sei mesi ancora, poi l’albo sarà pronto. Dove sto scrivendo? Dove mi rifugio sempre in questi casi, in qualche stanza di albergo tra Fontana di Trevi e la stazione Termini: finestre chiuse, ed è la mia vita reale. Poi apro gli scuri e vedo un panorama abbagliante, popolato di ombre. Ed ecco la prossima avventura dell’Indagatore dell’incubo».
Pomeriggio di inizio luglio alla Casa del Cinema nel verde di Villa Borghese, a Roma. Fa caldo, tanto. Ma un centinaio di persone si sono radunate qui lo stesso per un incontro con Dario Argento che si presenta in polo e jeans e, salvo la frangetta inevitabilmente imbiancata, sembra lo stesso ragazzino – oggi ha 76 anni – che mezzo secolo fa sbancava i botteghini sdoganando al cinema l’orrore all’italiana: donne spesso protagoniste, tanto splatter, tensione e paura infinite. E tutti incollati alla poltroncina.
L’occasione del ritrovo è la proiezione di un film di cui il manipolo di fan – giovanissimi, meno giovani, anziani – conosce a memoria ogni scena: «L’uccello dalle piume di cristallo», datato 1970. Inevitabilmente, segue dibattito. Ma stavolta oltre che di film si è parlato anche di fumetti. Anzi: di Dylan Dog, l’eroe horror della Sergio Bonelli editore partorito dalla fantasia di Tiziano Sclavi. Il primo numero uscì nel settembre 1986 e vendette una manciata di copie. Poi ci fu l’improvviso boom e la tiratura ora rivaleggia con quella di Tex, arrivando a record di oltre seicento mila copie.
Da un mese circa sul web furoreggia la notizia che Dario Argento sta scrivendo un albo della serie. Annuncio ufficiale sulla bacheca Facebook di Roberto Recchioni, lo sceneggiatore che dal 2014 ha rivoluzionato la serie mescolando spavento, divertimento e il pensionamento dell’ispettore Bloch, «confidente-confessore» di Dylan Dog e istituzione di Scotland Yard. Questo il post: «Vi presento un nuovo autore di Dylan Dog. Nessuno scherzo: ha scritto una storia».
Il regista sulle prime resta vago nello svelare dove stia ambientando la trama; allunga la mano, indica quel che si vede poco lontano dalla Casa del Cinema: via Veneto, il cielo su Roma. Poi ridacchia: «Il resto non lo dico». Mentre raggiunge la vettura dove lo aspetta l’autista – a braccetto di Felice Laudadio, il «preside» del Centro sperimentale di cinematografia che gli ricorda divertito: «E pensare che come Sophia Loren nemmeno avevi passato l’esame per entrare qui...» – si lascia andare: «Non posso dire di essere un appassionato di fumetti, da piccolo leggevo Topolino, nient’altro. Ma era inevitabile che scrivessi una storia di Dylan Dog. Mi capitava di comperarlo in edicola dopo che mi venivano segnalate le citazioni dei miei film nelle storie». Innumerevoli, questi «omaggi» apparsi in alcune delle storie più belle. Per ricordarne un paio: il personaggio spiritato ne «Gli uccisori» che è il suo ritratto spaccato. Oppure il carcere di massima sicurezza inglese, in «Per un pugno di sterline», chi si chiama «Deep Red», «Profondo rosso».
«Non penso che questa sceneggiatura “sdogani” il fumetto presso la critica. Il fumetto si è già sdoganato da solo da tempo. Come in fondo riuscii a fare io con i miei film» conclude ricordando un episodio del 1979, epoca dell’impegno. «Mi invitarono al Dams di Bologna per un convegno. C’erano solo silenzio e ostilità, a un certo punto un “fichetto” disse: “Non trattatelo così, il suo cinema non è poi così terribile”. Mandai a quel paese tutti e me ne andai».
Ma l’idea di far leggere la sua sceneggiatura a Sclavi? Il registe sorride: «Non sarà mai peggio di quando, in piena notte, mi chiamava Sergio Leone per rivedere il soggetto de “Il buono, il brutto e il cattivo” che scrissi per lui». Prima di chiudere la portiere aggiunge: «E poi io sono una cosa, Sclavi è un’altra».