Il Sole 24 Ore, 12 luglio 2017
Più investimenti in elettricità che in petrolio, gas e carbone
Le batterie hanno segnato un altro punto a favore nella partita globale dell’energia: il settore elettrico per la prima volta nella storia ha attirato più investimenti di petrolio, gas e carbone messi insieme.
A registrare la svolta – determinata soprattutto dallo sviluppo accelerato di reti e sistemi di storage – è un rapporto dall’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), secondo cui a livello globale l’elettricità ha ricevuto investimenti per 718 miliardi di dollari nel 2016 ( circa l’1% in meno rispetto all’anno prima, ma molto è dovuto al minor costo di materiali e tecnologie). Sono saliti del 9%, a un record di 231 miliardi, anche gli investimenti in efficienza energetica, mentre i combustibili fossili hanno totalizzato poco più di 700 miliardi.
L’Aie previene l’entusiasmo degli ambientalisti, aggiungendo che gli investimenti in rinnovabili sono però troppo sbilanciati verso solare ed eolico, mentre c’è un preoccupante declino dei progetti basati su altre fonti a zero emissioni, come le centrali idroelettriche e nucleari, pure necessari a soddisfare la futura sete di energia.
Si spende troppo poco anche in ricerca sulle tecnologie pulite: solo 37 miliardi di dollari l’anno, come il direttore dell’Aie, Fatih Birol, aveva anticipato in un’intervista al Sole 24 Ore. In generale gli sforzi fatti non bastano: gli investimenti in energia si sono calati del 17% negli ultimi due anni (a 1.700 miliardi di $ in totale): senza un’inversione di tendenza rischiamo «carenze e sottocapacità sul mercato».
L’Aie rilancia l’allarme anche su petrolio e gas, convinta che ci serviranno ancora a lungo. Gli investimenti si sono ridotti di un quarto nel 2016, il secondo anno consecutivo di contrazione, a 650 miliardi di dollari. Quest’anno si profila un modesto +3%, ma ad essere ripartito davvero è solo lo shale americano, che secondo gli esperti dell’Agenzia spenderà addirittura il 53% in più nel 2017 (con costi in aumento del 16%). In misura molto più limitata, gli investimenti stanno crescendo anche in Russia (+6%) e in Medio Oriente (+4%), ma continuano a calare nel resto del mondo, sollevando «un punto interrogativo sulla disponibilità di riserve sufficienti a soddisfare la crescita della domanda nei prossimi anni». Anche perché, ricorda l’Aie, i giacimenti convenzionali esistenti hanno un forte tasso di declino.
Su quest’ultimo punto si è soffermata un’altra ricerca, firmata da Rystad Energy, società privata che dispone di un database su migliaia di pozzi di tutto il mondo. Il drastico taglio dei costi negli ultimi tre anni ha portato a trascurare i giacimenti più vecchi, da cui proviene un terzo dell’offerta di greggio, e questi nel 2016 hanno prodotto il 5,7% in meno secondo Rystad, il tasso di declino più alto dal 1992. Quest’anno si rischia di replicare, con un ulteriore calo del 6%. Si tratta di circa 1,8 milioni di barili al giorno, una quantità pari al taglio deciso dall’Opec e dai suoi alleati. Ma in questo caso si tratta di barili che non è facile riportare sul mercato.
.@SissiBellomo