Libero, 12 luglio 2017
La strage degli elefanti
Tra meno di 25 anni sarà possibile vedere gli elefanti soltanto nei vecchi film e documentari, dato che essi spariranno per sempre dal continente africano. A dare l’allarme erano stati nel 2016 ben 29 Paesi africani facenti parte dell’African Elephant Coalition. Ogni anno, infatti, il numero di esemplari che vivono in libertà scende dell’5% a causa del bracconaggio finalizzato al commercio illegale di avorio, ma anche della deforestazione. Siamo così passati da una popolazione di 27 milioni nel diciannovesimo secolo ai 5 milioni di elefanti all’inizio del ’900. Oggi questi maestosi mammiferi sono circa 350 mila, con una diminuzione del 61% nell’arco di 33 anni. Si calcola che ogni anno ne vengano uccisi circa 20 mila (WWF). Dunque, il massacro prosegue a ritmo sempre più serrato.
Nel 1989, per arginare la carneficina degli elefanti, venne chiuso il mercato internazionale dell’avorio e questo comportò una riduzione dell’attività di bracconaggio. Ma fu una breve parentesi: nel 2007 Sudafrica, Namibia, Botswana e Zimbabwe ottennero il nulla osta per la vendita alla Cina e al Giappone dell’avorio considerato “legale”, ossia quello proveniente da elefanti uccisi prima del 1976, anno dell’entrata in vigore della Convenzione internazionale sul commercio delle specie protette. Questo via libera ha incrementato nuovamente l’attività dei bracconieri nonché il mercato nero dell’avorio, che nei Paesi asiatici è considerato alla stregua di un “bene rifugio”, come oro e diamanti, e che in Cina viene addirittura usato come merce di scambio o tangente. Ed è proprio qui che finisce ben il 70% delle zanne trafugate, per farne sculture, anelli, collane, gioielli vari, impugnature di coltelli, oggetti di arredamento, che testimoniano il fasto di chi li possiede.
Le preziose zanne non sono altro che i denti incisivi degli elefanti, che servono a questi per procurarsi cibo e acqua nonché come strumento di difesa, che tuttavia non può proteggerli dal predatore più spietato al mondo, ossia l’essere umano.
I bracconieri sono spesso legati alle organizzazioni terroristiche di matrice islamica, che traggono ingenti profitti dal massacro degli elefanti, decimati a colpi di mitragliatrice o avvelenandoli con il cianuro, pur di strappare loro le pesanti zanne, vendute al prezzo di circa mille dollari al kg.
Insomma, bandire il commercio dell’avorio non è stato sufficiente per proteggere questi mastodontici e teneri animali. Occorre forse esercitare un severo controllo sui trafficanti internazionali se non vogliamo che un giorno il nostro amato Dumbo diventi solo una leggenda da raccontare ai bambini.
Il 31 marzo scorso la Repubblica popolare cinese ha compiuto un atto storico: ha chiuso tutte le fabbriche di avorio ed entro fine anno è prevista la chiusura anche dei numerosi negozi che vendono manufatti realizzati con le zanne degli elefanti. A Hong Kong, dove l’importazione di avorio è vietata dal 1990 ma che continua ad essere il principale snodo strategico per il contrabbando in Asia nonché primo centro mondiale di lavorazione dell’avorio, sta per essere approvato un provvedimento legislativo che porterà gradualmente alla definitiva messa al bando dell’avorio, incluso quello “legale”, entro il 2021. Queste novità normative, invece di arginare la spietatezza dei trafficanti, per ora hanno portato questi ultimi ad intensificare ulteriormente i loro sporchi affari, come testimonia il mega-sequestro (il più imponente degli ultimi 30 anni) da parte della polizia doganale di un cospicuo carico di zanne di elefante, stipate all’interno di un container di 12 metri e coperte da cartoni di pesce, avvenuto ad Hong Kong qualche giorno fa e consistente in 7,2 tonnellate, pari a 700-1000 mammiferi massacrati, per un valore di mercato pari a 8 milioni di euro.
Non ci resta che augurarci che questa sia stata l’ultima pagina di sangue della terribile storia del traffico nero di candide zanne, una storia che racconta di come l’uomo, per la sua cupidigia, abbia quasi cancellato per sempre dal pianeta Terra l’elefante, animale mansueto e fintamente goffo, e di come, alla fine, non ce l’abbia fatta.