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 2017  luglio 12 Mercoledì calendario

I regali del Tour per Kittel il trionfo di una tattica folle

BERGERAC Egiunti al fin della volata, vinco. Marcel Kittel potrebbe cominciare così, se avesse letto Edmond Rostand. Lo escluderei. E giunti al fin della volata, Kittel. Questo mi piacerebbe urlare in un megafono a un discreto numero di napoleoncini dell’ammiraglia, dopo che Kittel ha vinto lo sprint per distacco, la più comoda e facile delle sue quattro vittorie in cinque volate di gruppo. Solo Demare è riuscito a batterlo, ma Demare è già tornato a casa. Come Cavendish e Peter Sagan. Lo sprint parla tedesco (tre nei primi quattro), Colbrelli fa quel che può (ieri nono), ma lo strapotere di Kittel è tale che viene da chiedersi in cosa sperino le squadre degli altri velocisti e perché nessuno pensi a un altro modo per batterlo, magari affrontando diversamente i primi km di corsa. Una volta sola c’è stata una lunga bagarre per arrivare a una fuga consistente. Gli altri giorni, disco verde ai primi che si muovono: ieri Offredo e Gesbert, il più giovane in corsa (22 anni). Massimo vantaggio 5’. Ripresi dopo 172 km, a 6 dal traguardo. Così è stato, così doveva essere. Con una piccola ma significativa variante. Protagonista Küng, giovane passista svizzero e passista di quelli tosti. «Anch’io all’inizio ho cercato la fuga. Corridori di Lotto e Quick Step mi hanno raggiunto e mi hanno detto che io non potevo andarmene». Perché? «Perché se andavo in fuga a loro sarebbe costata più fatica venirmi a prendere».
Ho scritto che la tappa di ieri e quella di oggi sarebbero servite a recuperare energie. Confermo. Non mi lamento, non m’aspettavo fuochi d’artificio, ma c’è modo e modo. In gruppo ci sono almeno 165 corridori che non possono vincere uno sprint di gruppo e almeno 140 scarsi in salita. Ma tutti possono partecipare a una vera fuga, non a una similfuga cui manca solo un lasciapassare controfirmato dai corazzieri degli sprinter. In genere, nel ciclismo, il giorno dopo il riposo era una specie di rampa di lancio. Mi fa piacere che Offredo, uno dei due fuggitivi, abbia detto in tv la stessa cosa: che lui s’è divertito, tra castelli e vigne, ma mentre pedalava pensava al telespettatore, seduto davanti al nulla per qualche ora, fino agli ultimi due chilometri. «Se è vero che la corsa la fanno i corridori, la mancanza di spettacolo è anche colpa nostra. Se qualcuno ha in mentre una fuga verso Pau, me lo dica e gli terrò compagnia». Per Offredo, lingua sciolta e bella presenza, prevedo un futuro da commentatore televisivo.
Tra i castelli ammirati da Offredo, al suo primo Tour, anche quello di Milandes, affittato nel 1937 da Joséphine Baker e comprato nel ’47 da suo marito, Jo Bouillon. Ci viveva con 12 bambini adottati, di 9 nazionalità diverse. «La mia tribù arcobaleno», li chiamava. Finanziariamente dissestata, nel ’64 dovette venderlo all’asta. Un appello di Brigitte Bardot riuscì a ritardare la vendita, di molto sottocosto, ma non a impedirla. So che parlare di Joséphine Baker ed evocare il gonnellino di banane è la stessa cosa. Come parlare della relazione con Simenon, che lui troncò giudicandola troppo invadente. Vorrei invece ricordare che Baker s’arruolò nei servizi segreti francesi, a guerra finita aveva i gradi di capitano e de Gaulle l’insignì della Legion d’onore. E, ancora, che partecipò nel 1963 alla marcia per i diritti civili organizzata da Martin Luther King. Fu Grace Kelly a salvarla dalla miseria, prima con una cifra consistente, poi con l’invito a esibirsi nelle feste della Croce rossa. Da lì ripartì la carriera di Joséphine, che è sepolta nel Principato.
Dicono che il Tour, attraverso la tv, insegni la geografia ai francesi. Aggiungerei che può dare una spolveratina alla storia. A Bergerac, per esempio, hanno avuto un talento enorme nell’impossessarsi di Cyrano, realmente vissuto, ma che in vita mai mise piede a Bergerac. A lui sono intitolati una gara di enduro, un festival gastronomico, un torneo di spada. Tra Périgueux e Bergerac ho ritrovato i platani e gli anziani che giocano a pétanque, le albicocche sono così così ma la Dordogna vale viaggio e soggiorno. Joie de vivre: non c’è solo a Parigi, basterebbe un fine settimana a Sarlat-la-Canéda per capirlo. Bergerac è gemellata con Faenza. Cyrano e ceramiche. Fusione: cyramiche (pessima, ispirata da sbadigli).
Telegrammi finali. Ieri non è partita Rafa Majka, bravo scalatorino polacco. Conciato malissimo dopo una caduta, respirava a fatica. Richie Porte dal letto d’ospedale: «Peccato, poteva essere il mio anno, mi sentivo in forma. Se rivedo le immagini della mia caduta, però, penso che ho avuto fortuna se sono ancora vivo». Tanti auguri a Malori, vicecampione del mondo a cronometro. Ha lottato a lungo contro le conseguenze di una caduta ancora più brutta ed è dura smettere a 29 anni. Avrà un incarico da tecnico federale. Bouhanni (manata a Bauer in volata) penalizzato di un minuto (gli fa un baffo). Apertura e chiusura con Kittel: «Mai così forte in vita mia, ma non penso alla maglia verde. Basta un brutto giorno, come è successo a Demare, a rovinare tutto».