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 2017  luglio 12 Mercoledì calendario

Lombardia e Veneto, i referendum gemelli che non si somigliano

Si vota per l’autonomia in entrambe le Regioni il prossimo 22 ottobre e sia in Lombardia che in Veneto l’iniziativa è stata presa in stretto collegamento dai due governatori leghisti, Roberto Maroni e Luca Zaia. Ma pochi sanno che saranno diversi sia i quesiti ai quali dovranno rispondere i rispettivi elettorati sia il sistema di validazione del voto in rapporto all’affluenza.
In Lombardia non è previsto il quorum che invece è indicato dalla legge regionale veneta (articoli 20 e 26) che regola i referendum consultivi. Il quesito che troveranno nelle urne i veneti è estremamente circoscritto («Vuoi che alla Regione Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?») ed è in sostanza ciò che resta della precedente formulazione indipendentista azzoppata suc-cessivamente dal giudizio della Corte costituzionale. Per evitare ulteriori problemi con la Consulta la giunta Zaia si è tenuta al minimo e ha scelto di non condire il quesito con ulteriori giri di parole. I leghisti nordestini però si erano in qualche modo legati le mani perché la loro stessa legge approvata a suo tempo dal consiglio regionale prevede esplicitamente il quorum del 50%+1 voto degli aventi diritto per dichiarare la validità del referendum, che resta in ogni caso consultivo e basta.
I leghisti lombardi, invece, non avendo un precedente contenzioso con la Consulta si sono sbizzarriti e il quesito rivolto agli elettori è lungo cinque righe e si rivolge all’elettore nell’urna usando il «voi» al posto del più confidenziale «tu» veneto: «Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?». È evidente dalla lettura del testo la volontà di rassicurare i lombardi, per tradizione assai meno autonomi-sti dei veneti, con riferimenti espliciti all’unità nazionale e persino alla Costituzione.
Questo voto non è l’anticamera della secessione sussurra Maroni agli elettori, state tranquilli. Ha aggiunto nel testo però l’espressione «relative risorse» che fa balenare un altro contenzioso: quello sul cosiddetto residuo fiscale, la differenza tra l’ammontare delle tasse che i lombardi pagano a Roma e ciò che torna al territorio sotto varia forma. Ma il referendum non riguarda quest’argomento. L’altra parola-chiave è «specialità», un termine che si usa nel lessico politico per indicare le Regioni a statuto speciale che non comprendono però la Lombardia. Resta il dubbio, dunque, su quale sia la specialità della Lombardia a meno che gli estensori del quesito non volessero indicare una generica «eccellenza». Saremmo solo al patriottismo lessicale.
Messo però da parte il dibattito filologico c’è una notizia di sole 48 ore fa che mette in una luce del tutto particolare le rivendicazioni di autonomia. In Veneto è stata creata una nuova società partecipata della Regione: si chiama Veneto Welfare e dovrà occuparsi della promozione e dell’informazione sui temi della previdenza complementare. In parole povere, un ente inutile.