Corriere della Sera, 12 luglio 2017
Arriva «Lew» il pragmatico, nuovo ambasciatore in Italia
Dal punto di vista strettamente ideologico, quella di Lewis «Lew» Eisenberg sembra una nomina poco trumpiana: repubblicano moderato, poco amato dalla destra religiosa che gli contesta alcune scivolate pro choice, lontano dalle posizioni sovraniste e no global del «Rasputin» Steve Bannon, il prossimo ambasciatore americano a Roma, previa conferma del Senato, si è trovato spesso nel mirino degli oltranzisti del Grand Old Party.
Conflittuale sul piano dell’ideologia politica, in realtà la figura di Eisenberg è in piena sintonia con l’altra faccia del trumpismo, quella pragmatica, affaristica e legatissima a Wall Street, incarnata da figure come il segretario al Tesoro Steve Mnuchin o il capo del Dipartimento di Stato Rex Tillerson.
«Avere denaro ti dà la fiducia per fare cose che altrimenti non potresti fare», era uno dei suoi motti a Goldman Sachs, dove il giovane Eisenberg, laureato al Dartmouth College e con in tasca un MBA della Cornell University, arrivò nel 1966. Veniva da Chicago, aveva appena 24 anni e suo padre, commesso in un negozio, figlio di immigrati ebrei tedeschi, aveva speso i risparmi di una vita per farlo studiare nella prestigiosa Ivy League. Sarebbe rimasto nella banca d’affari fino al 1989, diventandone uno dei partner più importanti. E aveva buone chance per diventarne anche il numero uno, se quell’anno una storia mai veramente chiarita non gli avesse tarpato le ali.
Secondo una ricostruzione fatta all’epoca dal New York Times, Eisenberg, già sposato e con 3 figli, aveva avuto per anni una relazione extra-coniugale con una sua assistente, Kathy Abraham. Ma quell’estate, la donna, probabilmente su pressione del suo nuovo fidanzato, un poliziotto ebreo ultraortodosso, lo aveva denunciato per abusi e molestie. La cosa era diventata pubblica dopo che l’agente aveva rivelato tutto al magazine New York. Di fronte allo scandalo, Lew Eisenberg si era dimesso e la donna aveva ritirato la denuncia.
Sembrava la fine della carriera, invece fu l’inizio di un nuovo capitolo. L’anno dopo infatti Eisenberg fondò la Granite Capital International, una società di investimenti poi diventata un’icona di Wall Street. Contemporaneamente cominciò il coinvolgimento nella vita pubblica, che lo avrebbe portato a collaborare con diversi governatori repubblicani di New York e del New Jersey. Quando gli attacchi dell’11 settembre colpirono le Torri Gemelle, Lew Eisenberg era il capo della Port Authority, la società pubblica che controlla il World Trade Center. Ed è stato ancora lui a gestirne la ricostruzione. Qualche anno prima, il futuro ambasciatore aveva fondato il Republican Leadership Council, un gruppo repubblicano che si autodefinisce «fiscalmente conservatore, socialmente inclusivo». L’iniziativa gli è valsa l’ostilità della destra del partito nonostante Eisenberg nel frattempo abbia rivisto le posizioni più controverse, come il sì al matrimonio gay. Il salto nella politica nazionale avvenne all’inizio del millennio, con le due campagne di George W. Bush e John McCain, del quale nel 2008 fu anche tesoriere. Efficacissimo nella raccolta fondi, Eisenberg ha gettato tardi il suo peso dietro la candidatura di Donald Trump, verso cui aveva molte riserve pur essendogli amico. Ma quando l’ha fatto, si è rivelato decisivo, convogliando nelle casse del tycoon e del Gop decine di milioni di dollari. Nell’aria da mesi, la sua nomina a Via Veneto è sicuramente positiva per l’Italia, soprattutto per il canale diretto che Eisenberg ha con Trump e per il «retroterra» politico che il futuro ambasciatore, una volta ottenuta la conferma del Senato, porterà con sé a Roma.