Millennium, 1 luglio 2017
Trash, kitsch, camp e alla fine il sacro (cattotrash)
DAL KITSCH AL TRASH, passando per il camp. Categorie emerse nel secolo scorso ma da sempre esistite, la cui miscela può essere davvero esplosiva. Specialmente in un ambito, quello del sacro, capace di esprimere cose che voi umani...
Per capire al meglio quanto profano sia oggi il divino bisogna partire, appunto, dagli inizi del Novecento. Guido Gozzano, uno dei primi ironici cantori del kitsch, le definiva «le buone cose di pessimo gusto». In quel frangente, infatti, ci si comincia a rendere conto dell’attitudine umana, molto marcata in quasi tutti i ceti della popolazione, a circondarsi di oggetti (o per dirla meglio, con Marx, di feticci) belli ma orripilanti. Contraddizione in termini che rivela la complessità dell’animo dell’individuo, dei suoi desideri e delle sue vanità. Gozzano ancora si riferiva, con una certa ingenuità, ai «fiori in cornice (...) le scatole senza confetti; i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro; un qualche raro balocco; gli scrigni fatti di valve; gli oggetti col monito, salve, ricordo; le noci di cocco».
Nulla in confronto al teorico del kitsch, Gillo Dorfles (oggi splendido ultracentenario ancora in attività) che della stramba categoria fissa i primi parametri estetici. Si identifica così un ideale di oggetto barocco ma povero, eccessivo, mostruoso ma che si spaccia per carino. Per Dorfles è una vera e propria «confusione estetica e di valori», dove la rappresentazione del bello è creata (e poi acquistata ed esibita) da chi ne ha una nozione approssimativa e contorta.
Uno stravagante concetto del bello, che già prima di lui aveva trattato Walter Benjamin nel celeberrimo L ’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica, nel quale il filosofo tedesco teorizza quello che Dorfles avrebbe poi mostrato e catalogato, come ad esempio le infinite forme di riproduzione della Mona Lisa di Leonardo, ridotta a presina per le pentole, ad asciugamano, a copriletto...
A un certo punto della storia il kitsch sfocia in qualcos’altro. Ossia nel trash, che letteralmente significa “spazzatura”: categoria – per così dire – estetica alquanto delicata. Rispetto alla precedente, la nuova tendenza è meno ambigua. Ciò che è trash è spudoratamente brutto. Eppure può piacere. Tommaso Labranca, uno dei più acuti (e trascurati) lettori della contemporaneità, scomparso lo scorso anno e autore del fondamentale Andy Warhol era un coatto, lo definisce «l’emulazione fallita di un modello alto». Un esempio su tutti, Little Tony che propone la versione nostrana, un po’ pecoreccia, di Elvis Presley.
Chi non fosse soddisfatto dal trash può ripiegare nel camp, ovvero nel “brutto compiaciuto”. Una sorta di snobismo al contrario e proprio per questo ancora più potente. Nel parossismo del feticismo merceologico, infatti, può essere molto raffinato “scegliere liberamente” una schifezza al posto di una bellezza. Il già citato Warhol farà del camp uno dei suoi più forti strumenti di seduzione. Giocherà con il gusto proponendo film come Empire del 1964, pellicola di otto ore e cinque minuti composta da una sola inquadratura fissa di un grattacielo, l’Empire State Building, appunto; o un’improbabile installazione con carta da parati raffigurante musi di mucche coloratissime tra inutili, incomprensibili quanto stupefacenti cuscini colorati d’argento e fluttuanti nell’aria.
Premesso ciò, possibile che le tre categorie si fondano a perfezione con il sacro? Ovvio che sì e questo perché di stravaganze religiose si ha traccia da molto prima del dilagare delle tendenze citate. Anzi, con il consolidarsi delle arti, dei culti e della mercificazione di questi ultimi pian piano il sacro è diventato addirittura osceno, riducendosi a imbarazzante souvenir, a strategia di marketing, a qualifica certificante la bontà di una buona Margherita o Capricciosa. Non a caso in Italia sono state censite più di 200 pizzerie “Padre Pio”.
Le radici prototrash cristiane affondano nel primo Medioevo, esattamente nel V secolo d.C, quando nasce la venerazione delle reliquie. Un fenomeno che riguarda la vita quotidiana di intere popolazioni, senza distinzioni di classe, e che si spingerà ben oltre quanto si possa comunemente immaginare. Alla base dell’idea di reliquia c’è il principio “magico” che qualunque cosa abbia avuto a che fare con il sacro diventi sacro a sua volta, a prescindere. E così, per secoli, un fittissimo mercato di pezzi della croce di inestimabile valore tra i fedeli.
Non solo, intorno all’anno Mille in Spagna vengono venerati ben tre prepuzi (opportunamente mummificati) di Nostro Signore. Oltre a una coppa contenente il sangue mestruale della Madonna (questo sangue, in alcune festività, passava dallo stato solido a quello liquido, come per San Gennaro).
Facendo un salto in avanti nei secoli e giungendo quasi ai giorni nostri, troviamo artisti molto consapevoli e, perché no, cinici, come Damien Hirst e Andres Serrano, che creano e mettono in vendita a prezzi esorbitanti oggetti a dir poco singolari. Il primo “lancia” sul mercato un teschio vero, tempestato di diamanti; il secondo, foto che riproducono un crocifisso immerso nell’urina dell’artista stesso. Due casi d’incontro tra la nuova mercificazione della religione e quella tradizionale in cui vi é un uso consapevole del trash (e dunque camp) che sfrutta anche la “golosità” nei confronti di ogni forma di scandalo mediatico.
Ma la lista è lunga. Chiunque abbia visitato San Giovanni Rotondo, meta di tutti i devoti di Padre Pio, ha ben presente le bancarelle piene d’infinite variazioni merceologiche sul Santo più popolare d’Italia. Statuine in tutte le fogge e in tutti i materiali, lampade, pentolame, portacellulari, ventagli, magliette, calze, penne, tazze, portachiavi, persino profumi per auto raffiguranti l’effigie di Pio da Pietrelcina.
Non diversa è la situazione a Medjugorje. Innanzitutto i rosari. Da quello più cheap, in plastica, venduto al modico prezzo di 50 centesimi, a quello monumentale, in roccia, dal peso di 15 chili. E ovviamente ciò che accade (e non parlo di apparizioni) in Bosnia ed Erzegovina riguarda anche tutte le altre mete di pellegrinaggi. Un miracolo corale.
«Fuori i mercanti dal tempio», avrebbe intimato l’inconsapevole iniziatore di questo business. Ma dentro o fuori, se non addirittura nelle prossimità – rigogliose di attività dedicate all’oggetto di venerazione locale gli stessi mercanti trionfano e senza tante remore. Nelle immediate vicinanze di Lourdes si trova infatti un locale che è tutto un programma: “La discoteca di Dio” in cui non si spacciano droghe e non vengono somministrate bevande alcoliche e dove si può ballare fino all’alba al ritmo della techno più dura, tra immagini di Bernadette e della Madonna. Del resto, quanto all’assenza di sostanze stupefacenti, è stato per primo Karl Marx a ricordarci che «la religione è l’oppio dei popoli». Quindi, niente pasticche e tanta fede.
Soffermandoci sulla musica, vale la pena ricordare la pletora di gruppi etichettati come espressione dell’hardcore cristiano o christcore. E se il death metal è chiaramente ispirato al demonio, ecco i seguaci dell’Ordine universale che controbilanciano lanciando Bibbie sul pubblico e strillando parole di salvezza. Come i californiani The Crucified e The Aitar Boys. In generale 1’America è la Mecca (pardon: ho, per metafora, toccato un’altra religione, invero poco propensa al merchandising) del consumismo rei igioso. È lì, nel cuore pulsante del sempre più declinante – ma per questo ancora più allucinato – capitalismo che sboccia imperterrito il fiore del trash mistico. A New York c’è il più rinomato negozio di ostie del mondo, Chiarelli’s (l’origine dei gestori, in esercizio dal 1938, è facilmente intuibile): non solo per la qualità, che sembra eccezionale, ma anche per la varietà dei disegni che le allietano ulteriormente. Sono in vendita in barattoli o in comode bustine, a mo’ di patatine da sgranocchiare a passeggio lungo la Fifth Avenue o guardando uno spettacolo a Broadway. Mentre da Botanica Santa Ana e San Carlos, nel Bronx, è possibile trovare, in un trionfo di ecumenismo un po’ trash, piante magiche da coltivare in devozione a una vastissima tipologia di santi ma buone anche per Buddha.
Atterrando sulla West Coast, invece, a Los Angeles si può fare un po’ di shopping nella celebre e sofisticatissima Christian Jewelry dove per poche migliaia di verdoni si può acquistare un bell’anellone tempestato di diamanti che vanno a formare l’immagine di San Francesco (non notate una certa contraddizione?) e i più costosi crocifissi da comodino del pianeta.
Sempre negli Stati Uniti c’è ampio mercato anche per i Protestanti. Il top del top è sicuramente il Christian Retreat di Bradenton, in Florida, lussuosissimo resort con campi da golf e chiese annesse, dove svagarsi bevendo drink e conoscendo le più celebri e ricche personalità del mondo dei predicatori.
Questa carrellata di trash religioso non si può concludere senza una nota di lucida ironia. Di allegria. Di consapevolezza. Agnostica. Illuministica. E assai profonda nel sollevare, con Tanna del gioco, questioni profonde sulla libertà di culto. Alludo ai Pastafariani, creati da Bobby Henderson nel 1995. Secondo il fisico e i suoi seguaci, l’universo è stato creato da un mostro fatto di spaghetti al pomodoro e polpette mentre era completamente ubriaco. Tant’è che i “fedeli”, molto più numerosi di quello che può sembrare e in continuo aumento, si vestono abitualmente da pirati con uno scolapasta in testa. Henderson ha dato vita a questo movimento parodistico per protestare contro la decisione del Consiglio per l’istruzione del Kansas di insegnare il creazionismo nei corsi di scienze come alternativa alla teoria dell’evoluzione.
I “fedeli” inoltre sostengono, con lambiccatissime prove scientifiche, che ci sia un nesso tra il surriscaldamento globale c il calo dei pirati nel mondo. Per queste e altre ragioni i Pastafariani chiedono da molto tempo di essere riconosciuti negli Usa, che come è noto danno a qualunque religione libertà di credo. In attesa della decisione di Stato, il loro pensiero è raccolto al meglio ne II libro sacro del Prodigioso Spaghetto Volante, edito in Italia da Mondadori e scritto dallo stesso Henderson.
E a chi, stuzzicato dal mostro di spaghetti al pomodoro c polpette, provasse ancora appetito per le religioni stravaganti, segnaliamo infine il Culto dell’Invisibile Unicorno Rosa, divinità suprema dell’universo che si oppone al principio assoluto del male, l’Ostrica Viola. Ah, dimenticavo: secondo Steve Eley, principale diffusore del credo Iur, è proprio l’Invisibile Unicorno Rosa il responsabile di quell’inspiegabile fenomeno sul quale tutti ci poniamo domande: il fatto che i calzini entrino nella lavatrice in coppia e ne escano singoli. Basta crederci. Come per tutte le religioni.