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 2017  luglio 01 Sabato calendario

Marmo: l’oro bianco di Carrara

Una Cadillac Fleetwood 53 troneggia nel bel mezzo delle strade di Carrara, ai piedi delle Alpi Apuane. Di solito queste automobili sono rosa o gialle, ma questa è diversa. Bianca con venature, resiste a qualsiasi rimozione forzata: pesa 24 tonnellate ed è tutta di marmo. L’ha scolpita a grandezza naturale Roland Baladi. Negli anni Ottanta l’artista francese si avvicinò al marmo e, per studiarne le possibilità, si trasferì nella cittadina toscana. Baladi ha perfezionato qui la sua tecnica e ha iniziato a realizzare copie in marmo di oggetti di uso comune, come un tostapane o un ferro da stiro. Poi ha acquistato un blocco da 70 tonnellate ed è nata la sua Cadillac. La scelta del marmo non era casuale. Anzi, spiegava bene come si era trasformato questo materiale nel corso del XX secolo, rischiando in qualche caso una certa banalizzazione. Il marmo di Carrara, su quest’ultimo punto, fa però eccezione.

Un sapere antico

La fama dei marmi apuani si deve in primo luogo alla loro struttura fisica. «Il marmo di Carrara ha la particolarità di essere leggermente ruvido, con una struttura granulare saccaroide (cioè simile a quella dello zucchero), che lo rende più facile da tagliare rispetto ad altri marmi» spiega Marco Ragone di Internazionale Marmi e Macchine Carrara, consulente specializzato nel business dei materiali lapidei. Fu questa particolarità ad affascinare gli scultori del passato. «I primi a usare il marmo furono gli antichi Greci, impiegando marmi locali. L’ascesa di Roma convinse architetti e artisti a cercare giacimenti più vicini all’Urbe. Fu scoperto allora il marmo di Carrara, chiamato all’epoca marmo di Luni, dal nome della città più importante della zona». Il marmo di Carrara soppiantò, in Italia e spesso anche altrove, quello dell’Egeo. Caduto in disuso durante le invasioni barbariche, tornò in auge nel Medioevo per la realizzazione delle chiese (anche se per secoli si riciclò quello delle rovine romane) e per la loro decorazione, il grande ritorno cominciò con artisti come Giovanni e Nicola Pisano, nel XIV secolo. Poi ci fu la svolta del Quattrocento, quando Carrara si guadagnò eterna fama fornendo a Michelangelo la materia prima per scolpire il David e la Pietà.

Il marmo di Carrara ha conosciuto un boom commerciale dopo la Seconda guerra mondiale. «A partire dagli anni Cinquanta i produttori locali cominciarono a viaggiare per il mondo per esportare il loro marmo, ma anche per importare altri tipi di pietra a Carrara, come l’onice o il marmo nero. Carrara è diventata da quel momento anche un grande mercato del settore» spiega l’esperto.

Nel bacino marmifero delle Apuane sono oggi aperte gigantesche cave a cielo aperto, dove la pietra è più facile da estrarre rispetto a quella dei giacimenti nel cuore della montagna. Queste cave hanno accompagnato l’evoluzione di Carrara verso un’attività più industrializzata, in un contesto di mercato globale. La trasformazione ha comportato cambiamenti nelle tecniche di sfruttamento.

In un’epoca in cui i blocchi venivano ancora spostati con carrucole e argani, gli artigiani diventarono industriali, investirono in seghe a diamante, poi in macchinari per il taglio a getto d’acqua ad alta pressione. Anche la città si trasformò, grazie alle attività tecniche dell’indotto (industriali, artigianali e logistiche) e a quelle commerciali legate al mercato lapideo. A Carrara cominciarono ad arrivare anche blocchi e lastre di produttori stranieri, lavorati qui per sfruttare tecnologie e knowhow altrove introvabili. «Ancora oggi, se un produttore vuole introdurre un nuovo tipo di pietra sul mercato, deve passare per Carrara» dice Ragone.

Paesi emergenti e design Eighties Tuttavia, negli anni Ottanta e Novanta si registrò un calo di interesse per il marmo. Era considerato una pietra pacchiana, troppo da parvenu. Gli architetti lo abbandonarono per primi, seguiti dagli scultori, ormai convertiti a materiali più sperimentali. Carrara cominciò a temere una crisi irreversibile per la sua attività più nobile e antica. Soprattutto dopo che, negli anni 2000, arrivò la concorrenza dei Paesi emergenti con manodopera a basso costo, come la Cina, l’India o il Brasile.

I timori erano fondati: la Cina è oggi il primo produttore nel mondo. Carrara ha saputo in ogni caso mantenere il predominio nel ristretto ma remunerativo mercato del lusso. La riscossa è arrivata dopo la crisi del 2008. Per primi si sono mossi i Paesi emergenti, a loro volta produttori di marmo ma attratti dal fascino del marmo di Michelangelo. Sono stati loro a fare gli ordini più grossi negli ultimi anni, non esitando a investire direttamente nelle cave. Già nel 2010 Depa, impresa di costruzioni degli Emirati Arabi, che ha utilizzato il marmo apuano nel grattacielo Burj Khalifa a Dubai, ha acquisito la Carrara Mid-East Industriai. E nel 2014, sulle Apuane, sono arrivati anche i sauditi (v. riquadro a sinistra). Del resto le petro-monarchie, insieme ai cinesi, restano tra i principali acquirenti del marmo di Carrara. In particolare quello del tipo Calacatta, che si contraddistingue per le venature giallo oro. Sono pochissime le cave di Carrara che lo producono. La domanda è triplicata fra il 2008 e il 2013, e il prezzo è cresciuto di circa il 7% l’anno nello stesso periodo. Parallelamente è decollata la domanda e, con essa, l’export. Soprattutto verso Estremo Oriente, Medio Oriente e Stati Uniti. «Dopo la recessione, le persone sono più disposte all’acquisto di prodotti di lusso tradizionali, costruiti perdurare, e che hanno avuto grande valore per centinaia di anni» ha detto al Wall Street Journal Rodman Primack, direttore della fiera Design Miami, oggi la più importante del settore al mondo. Il marmo viene utilizzato in maniera meno ostentata rispetto al passato ed è spesso accostato a materiali più caldi, come il legno e i mattoni. Il che non ha impedito la costruzione di edifici interamente in marmo, come l’Opera di Oslo, inaugurata nel 2008. Il ritorno dell’oro bianco, apprezzato anche in quanto materiale naturale, si è infine arricchito di usi diversificati e a volte inattesi: alcuni designer lo hanno usato persino per produrre occhiali di grande tendenza!

Un tesoretto da tutelare

Oggi la città di Carrara produce ogni anno quasi 1 milione di tonnellate di marmo in blocchi. A prima vista poche, in un mercato globale da 140 milioni di tonnellate annue. Ma bisogna aggiungere quasi 4 milioni di tonnellate di detriti destinati agli usi industriali (e la cui gestione è stata messa sotto accusa dalle associazioni ambientaliste). Siccome il valore del mercato del marmo è cresciuto moltissimo, con un rialzo del 24,4% del prezzo fra il 2014 e il 2015, la Toscana e comune di Carrara ne hanno tratto profitto, e da alcuni anni gli enti locali incentivano le cave a lavorare almeno il 50% del loro marmo sul posto. Il comune di Carrara ricava circa 75 000 euro al giorno dalla tassa sui marmi, mentre nella sola provincia di Massa Carrara, tra addetti di cava e indotto, oltre 12000 persone (su circa 200 000 abitanti) sono occupate nel settore. Ormai la città può vantarsi non solo di possedere ancora ingenti risorse di marmo, ma anche di essere riuscita a rivitalizzare una delle attività più antiche dello Stivale.



Di chi sono le cave di Carrara?

Molti la considerano un’enorme ricchezza spartita fra una ristretta élite imprenditoriale. Ma l’attività estrattiva del marmo di Carrara è un affare più complicato, fatto di concessioni comunali e di diritti (contestatissimi da decenni) acquisiti da alcuni privati sotto forma di concessione perpetua grazie a un editto ducale del 1751. Di queste cave private (i cosiddetti “beni estimati“) oggi se ne contano 8, sulle 81 attive a Carrara; 29 sono invece gli “agri marmiferi“, cioè le cave pubbliche che il comune dà in concessione a tempo determinato, tramite bando, a società o privati; nelle rimanenti 44 convivono invece, in quote diverse, l’una e l’altra tipologia.

Ma, di fatto, il marmo chi se lo prende?

La titolare di circa il 35% delle cave a cielo aperto è la Società Apuana Marmi (Sam): tre cooperative di cavatori, da sempre legate al territorio, ne detengono il 50%, mentre l’altra metà è della società Marmi Carrara. Questa partecipata, che possiede circa un terzo di tutte le concessioni locali per l’estrazione dell’oro bianco, è rimasta in mano alle grandi famiglie di imprenditori carraresi del marmo fino al 2014, quando è stata venduta per metà alla Marble&Granite Ltd, una delle società del Saudi Binladin Group, colosso delle costruzioni della famiglia del fondatore di al-Qaeda. 

M. LL.