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 2017  luglio 07 Venerdì calendario

Subbuteo, i calciatori messi all’indice

LIVORNO. Gli uomini e le donne del calcio in miniatura si prendono molto sul serio. E spazzano via l’idea che il Subbuteo – in pratica la Playstation di quelli che hanno superato da un bel po’ i 40 anni – sia un semplice passatempo basato su minigiocatori che scivolano su un panno disegnato con le linee bianche come un campo. Nel corso degli anni, gli uomini e le (poche) donne del calcio in miniatura hanno litigato tra loro, si sono divisi sulle regole e rivendicato la purezza delle orgini. Alcuni si sono lanciati nella modernità e nei materiali «più performanti». Altri, i tradizionalisti, hanno preso strade diverse. Poi, tre anni fa, hanno fatto pace e si sono ritrovati intorno al panno verde. Ma non tutti: c’è chi ha sbattuto la porta e si è ricavato una nicchia: sono quelli dell’Old Subbuteo, gli ultimi mohicani che inorridiscono davanti a qualsiasi deviazione dalla linea anni 70.
Fa un caldo africano al PalaBastia di Livorno che, il 17 e 18 giugno, ospita il campionato italiano a squadre per materiali tradizionali. Chini sui tavoli ci sono quelli che hanno passato interi pomeriggi prendendo a ditate giocatori alti tre centimetri, piazzati su una base semisferica che li fa muovere come pinguini, immaginando campionati e coppe dei campioni.
Da queste parti si scherza poco. Qui ci si giocano scudetti, promozioni e retrocessioni. Quarantotto tavoli, 40 squadre da tutta Italia. Serie A, B, C. Il tutto in un’atmosfera di grande concentrazione, tra urla di gioia, tabelloni che via via si riempiono di cifre, classifiche che si aggiornano. «Lo so, sembriamo dei pazzi» confessano in molti mentre lucidano freneticamente le basi degli omini per farli “correre“più velocemente. Pazzi forse no, ma certo da fuori fa una certa impressione vedere stimati professionisti, impiegati comunali, commercianti, avvocati e via cosi, con gli occhi fissi su un panno verde a consumarsi il dito indice per spingere da un capo all’altro del tavolo undici pupazzetti basculanti sotto l’occhio inflessibile dell’arbitro. «In pratica è un gioco che sta a metà tra il biliardo e gli scacchi e che richiede senso tattico e precisione balistica» spiega Maurizio Cuzzocrea, 46enne siciliano che è capo della Federazione italiana calcio tavolo. Già, perché esiste anche una federazione, che conta duerni la tesserati ed è in attesa di essere riconosciuta dal Coni.
Ed è a questo punto che va fatta una distinzione che qui sembra essenziale: calcio da tavolo e Subbuteo sono due cose diverse. Il primo è la versione agonistica e più tecnologica del secondo. Annovera un campionato del mondo (nell’ultimo, giocato nel 2016 in Belgio, la nostra nazionale ha vinto otto titoli), uno europeo e uno nazionale. Le basi dei giocatori sono piatte e non basculanti come nella versione vintage, cosa che fa storcere il naso ai tradizionalisti. Gente che può passare ore a spiegarti perché, nel 1976, fallì miseramente la versione zombie dei giocatori (la chiamarono così per la postura degli omini che richiamava, giurano, i morti viventi). Oppure raccontarti le origini del gioco che nacque in Inghilterra nel 1947 grazie a tal Peter Adolf che, per dargli il nome, si ispirò al nome scientifico del falco lodaiolo: il falco Subbuteo. «Una volta le squadre venivano dipinte a mano dalle massaie del Kent per due scellini a scatola» ti dicono ammirati. Poi la cosa ha preso ritmi più industriali. Passando, nel corso degli anni 90, dalla Waddingtons Games alla multinazione Usa Hasbro. Che presto fece i conti con l’intransigenza degli appassionati. Accadde quando mise sul mercato giocatori di cartone su base di plastica. Innovazione accolta come un sacrilegio che costò agli americani un tracollo di vendite. Il gioco ha avuto anche una parentesi italiana: dal 2002 al 2003 la Edilio Parodi ottenne la licenza di produrre. Che la Hasbro però si riprese velocemente.
E che questo sia un mondo dove le cose sono serie, lo si capisce anche dal giro economico che c’è intorno. Sempre di una nicchia si tratta, ovviamente, ma abbastanza ricca se uno come Enrico Tecchiati ha mollato un lavoro da manager e ha aperto Astrobase, una ditta che vende esclusivamente materiale per il Subbuteo. Cose tipo il campo fatto con materiali che danno l’effetto di erba appena tagliata o la versione mini per il calcio a cinque. «Si guadagna? Ci si vive bene, anche se io pago le tasse, altri no...» dice guardando di traverso un paio di venditori al suo fianco. La concorrenza, inrealtà, è relativa. «Io vendo solo squadre originali, non riproduzioni moderne» dice Daniele Mancuso mentre sistema decine di scatole. «I prezzi? Dipende dal numero dei pezzi prodotti: Venezia e Rimini, vere e proprie rarità, arrivano anche a 300 euro». Nulla a che vedere con lo Sheffield Wednesday del 1929, base di piombo e figurina di cartone, custodito gelosamente da Stefano De Francesco, 58enne perugino che si occupa di sicurezza sul lavoro: «Vale almeno 6 mila euro, ma non lo venderò mai».
De Francesco gioca con il Perugia, vero e proprio Real Madrid del Subbuteo. Anche quest’anno ha rispettato il pronostico e ha vinto lo scudetto, superando il Pisa e la Lazio. In B invece, è retrocessa una delle sette squadre livornesi in gara, la Spes, mentre in A sono salite i Black Rose Roma, i Flickers Milano e i Warriors Torino. C’era anche l’ipotesi di premiare l’ultima arrivata con il classico cucchiaio di legno, ma la cosa è stata accantonata per non urtare la sensibilità di chi ha chiuso la classifica. Facendo la spola tra i campi si vedono poche donne. Tra queste c’è anche un’ex nazionale di calcio (quello vero) degli anni 80. Si chiama Hélène Boniface e vive ad Aosta: «Ho iniziato da ragazzina e continuo a divertirmi. Le doti necessarie? Sia la tecnica che la tattica».