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 2017  luglio 11 Martedì calendario

Trump, le armi come diplomazia. Contratti per 400 miliardi di dollari

Patriot alla Polonia per 8 miliardi di dollari. Missili e siluri a Taiwan per 1,4 miliardi. Droni per la marina dal costo di forse tre miliardi all’India. Navi, elicotteri, sistemi di difesa antimissile all’Arabia Saudita per 110 miliardi che potrebbero in futuro superare i 300. Come anche velivoli da combattimento per 12 miliardi subito – e 21 in totale – al Qatar nonostante oggi sia ai ferri corti con Riad. Donald Trump è stato accusato di ignorare le virtù della diplomazia.
Ma la sua diplomazia delle armi appare in pieno svolgimento con obiettivi dichiarati: rassicurare Paesi considerati fidati. E allo stesso tempo rilanciare il “made in Usa” e con esso la creazione di «migliaia di posti di lavoro» e di opportunità di business per colossi della difesa da Lockheed Martin a Boeing e Raytheon. Gli annunci di vendite e accordi militari, dall’Europa al Medio Oriente e all’Asia, si sono moltiplicati nei primi sei mesi della sua presidenza: la Casa Bianca ad oggi ha sbandierato intese del potenziale valore di quasi 400 miliardi.
La corsa e riempire gli arsenali è stata però accompagnata da nuovi interrogativi, politici ed economici. Fa discutere la saggezza di rafforzare oltremisura l’Arabia Saudita mentre è tuttora impegnata in una dura guerra nello Yemen. Come di vendere armi sia a Riad che al Qatar anzichè dedicarsi a sanare la disputa esplosa tra i suoi alleati. Più in generale suscita dibattito una politica estera “transazionale”, caratterizzata da imperativi costi-benefici e alla radice di America First, anche sulle frontiere della politica estera.
Non solo. Le perplessità, cifre alla mano, riguardano la solidità stessa delle intese. La polemica è affiorata nel grande accordo-modello saudita: analisti e politici avversari hanno accusato il mega-deal di essere ricco soprattutto di retorica. A ben guardare farebbe leva su “soli” 24 miliardi di commesse effettive, in gran parte già messe a fuoco dalla precedente amministrazione Obama, mentre per il resto vive di impegni verbali. «Un pacchetto di lettere di intenti», ha riassunto Bruce Riedel, ex esperto della Cia adesso alla Brookings Institution.
Soltanto in teoria, così, le commesse per Riad varrebbero rapidamente 110 miliardi per lievitare nel giro di dieci anni fino a 350 miliardi. Il totale corrisponde a lunghe liste di tutti i desideri di acquirenti e venditori, che non necessariamente combaciano. Al regime saudita è stata ad esempio offerta – senza che venisse sollecitata – la sofisticata soluzione anti-missile Thaad, lo stesso sistema che potrebbe venire installato in Corea del Sud. Sono tuttora ipotetici, tra gli altri, 150 elicotteri d’assalto Blackhawk, velivoli da ricognizione P-8, tecnologie di guerra cibernetica. Quattro fregate lancia-missili, inizialmente annunciate nel 2015, sono tuttora da progettare.
La realtà potrebbe essere allo stesso tempo sia meno ambiziosa che più preoccupante. La Casa Bianca ha dato via libera a circa 24 miliardi di forniture, tra cui batterie di missili aria-terra di precisione per oltre 7 miliardi, che erano state sospese da Barack Obama in risposta a gravi preoccupazioni umanitarie, in particolare per le vittime civili provocate dal loro utilizzo nello Yemen. Trump sbloccherà anche nuovi carri armati e veicoli corazzati per oltre un miliardo a loro volta mobilitati nel conflitto.
Il Golfo Persico offre un secondo accordo che scotta. Se l’amministrazione è in affanno nel far rientrare lo strappo tra sauditi e Qatar – che potrebbe anzi aver aggravato inviando segnali di maggior appoggio a Riad – non ha invece avuto esitazioni nel varare nuove forniture militari anche a Doha. È recente la firma di una commessa da 12 miliardi per 36 caccia F-15QA che rafforzeranno «la sicurezza e l’architettura di difesa della regione», ha comunicato il governo americano. Parte di un accordo che prevede 72 velivoli per 21 miliardi. Come per Riad, oltretutto, si trattava di vendite autorizzate in linea di principio dalla precedente amministrazione.
Trump ha di recente celebrato altre commesse e patti bilaterali con maggior entusiasmo rispetto a impegni politici e militari nell’ambito delle tradizionali organizzazioni multilaterali. Da Varsavia ha «applaudito la Polonia per la scelta di acquistare il sistema di difesa missilistica Patriot, il migliore al mondo». Varsavia, che pagherebbe entro dicembre 8 miliardi con le prime consegne entro due anni, aveva invocato un riarmo in risposta al dispiegamento di nuovi missili russi ai confini del Paese.
Delicate commesse americane sono scattate con Taiwan: 1,4 miliardi per sette sistemi d’arma – radar, missili anti-radiazioni, componenti per batterie anti-aeree SM-2 – che hanno sollevato accese proteste della Cina. Si inseriscono nella incerta partita giocata dalla Casa Bianca che vorrebbe aumentare le pressioni su Pechino affinché disinneschi la minaccia nucleare della Corea del Nord. Proprio l’attenzione “militare” alla Cina e agli alleati asiatici in funzione anti-Pyongyang ha reso ancor più necessaria una crescente cura alla cooperazione con l’India, a sua volta attraverso gli arsenali: 22 droni non armati, la versione Guardian dei Predator, per missioni di sorveglianza.
Il contratto, tra i due e i tre miliardi, è stato autorizzato durante la visita in giugno del primo ministro Narendra Modi alla Casa Bianca. Se però tutte le grandi manovre militari dell’amministrazione Trump si tradurranno in maggior sicurezza all’estero e più posti di lavoro in America rimane una scommessa aperta.