Corriere della Sera, 11 luglio 2017
Philip Glass, 80 anni senza nostalgie: cerco ancora il suono perfetto
Philip Glass ha da poco compiuto 80 anni, ed è intatta la «mitologia» attorno alla sua figura. Ha inventato un linguaggio musicale personale e riconoscibile: la ricerca della spiritualità, alternativa a ogni corrente di pensiero.
Venerdì al Festival di Ravello (con replica domenica all’Auditorium di Roma) suonerà tre suoi brani per pianoforte. Lo chiamano il maestro del minimalismo, una formula in cui non si ritrova. «Ora ne sono meno infastidito, perché vedo che la mia musica degli Anni 60 e 70 viene suonata dai giovani. Ma il successo popolare fu qualcosa del tutto inaspettato per me».
Per un musicista che ha fatto dell’esplorazione del suono il suo focus, quali sono i nuovi traguardi? «L’aspetto singolare è che non sto rallentando la mia attività, anzi scrivo più di prima. Sto componendo una Passacaglia per piano che fa parte di una composizione più ampia dal titolo Distant Figures per una coreografia di Lucinda Childs. Il mio stile è cambiato, ho iniziato a lavorare su nuove sonorità. Molti alla mia età stano seduti ad aspettare... Cosa? Se un musicista vuole vivere a lungo, deve alzarsi presto al mattino e comporre tutto il giorno. Il mio problema è che non mi piacciono gli aerei». Per un compositore ha ancora senso, oggi, la ricerca dell’Oriente e del buddhismo? «È una spinta estetica e filosofica che non si è esaurita, semmai si è ampliata. Mi sono spostato dalla spiritualità in India, che ho vissuto da giovane, al Messico, utilizzo strumenti musicali delle popolazioni indigene, che vedono e soprattutto sentono il mondo in modo diverso».
Philip Glass d’istinto si associa a Allen Ginsberg, il poeta della beat generation. Non è prigioniero della nostalgia, dice che oggi c’è un altro nome che incarna la coscienza della nuova America: «Si chiama Jerry Quickley. Ha scritto un poema, Whistlebower, su Edward Snowden, l’ex tecnico della Cia che ha passato guai seri per aver rivelato programmi di intelligence secretati. Oliver Stone ha fatto un film su di lui e noi abbiamo messo in musica i suoi versi. I giovani poeti contemporanei non solo portano avanti una tradizione, ma sono politicizzati, attenti alle dinamiche sociali».
L’influenza delle immagini sul lavoro di Glass è enorme. Però non va mai al cinema perché è diventato intrattenimento commerciale. «La musica al cinema è decorativismo, Hollywood è sempre meno attraente. So bene che Tokyo non è Hollywood, ma in Giappone ho partecipato a un progetto che mi affascina su Yukio Mishima». Lo scrittore e attore ossessionato dalla morte, che nel 1970 si tolse la vita con il suicidio rituale dei samurai.
Il linguaggio, dopo essersi nutrito di musica extra-occidentale, etnica, elettronica, verso cosa dovrebbe guardare? «Non ho bisogno di cercare altre fonti. L’aspetto interessante è che l’America sta attraversando un periodo connotato da problemi sociali che rendono gli ambienti artistici elettrici, energetici, reattivi. Il fatto di avere persone incompetenti al potere ha causato delle reazioni positive in tanti settori, anche nei partiti, persino tra i repubblicani. I giovani non perdono tempo con i videogames ma si preoccupano per il futuro della democrazia nelle mani di certe persone. La reazione a Trump è stata quella di portare la gente a porsi delle domande sulle regole della democrazia e sulle responsabilità di ciascuno di noi. È un periodo interessante per chi vive nel mio Paese».