Avvenire, 11 luglio 2017
Furti d’arte, quei capolavori mai rimpatriati. I soliti ignoti agiscono su commissione dei collezionisti o della malavita
Il destino è stato particolarmente nefasto con alcune opere d’arte, che non rivedremo mai più poiché sono andate perdute, distrutte per sempre sotto le devastazioni delle cannonate o dei bombardamenti aerei, dall’epoca di Napoleone a oggi. Altre invece sono sparite a causa delle calamità naturali oppure per mano di ladri più o meno abili, trafugate da decenni e scomparse anch’esse dalla circolazione senza lasciare la benché minima traccia. Ladri professionisti, entrati di recente in azione al Bode-Museum di Berlino, dove hanno prelevato senza colpo ferire la Big Mapple Leaf, la moneta d’oro da cento chili e dal valore di un milione di dollari circa, considerata la più grande del mondo ed entrata nel 2008 nel Guinness dei primati. O ladri improvvisati, come per esempio la colf che a inizio gennaio ha rivenduto per una cifra ridicola a un ’Compro oro’ le preziose monete antiche, del valore di oltre trecentomila euro, sottratte a Torino dalla collezione del datore di lavoro. Questo per quanto riguarda la cronaca quotidiana. Esistono poi veri e propri misteri che circondano da parecchi anni diverse opere, finite chissà dove e date ormai per disperse. Un esempio eclatante in tal senso è la Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi,magniloquente capolavoro del Caravaggio eseguito nel 1609 e valutato oggi circa trenta milioni di euro. La tela fu rubata nel 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo: le modalità e la sicurezza dimostrata dai malviventi, fecero propendere gli inquirenti per un furto commissionato dalla mafia. Ipotesi suffragata dalle dichiarazioni del pentito Vincenzo La Piana, il quale testimoniò che nessun ricettatore volle occuparsi del dipinto, poiché scottava troppo; la tela venne perciò seppellita nella campagna di Palermo. Un altro famigerato pentito, Giovanni Brusca, sostenne invece che l’intenzione di Cosa nostra era di ricattare lo Stato e restituire la
Natività dietro un alleggerimento dell’articolo 41 bis, che prevede il carcere duro per i boss mafiosi. Gaspare Spatuzza raccontò che la tela fu affidata a una famiglia affiliata, la quale la custodì manco a dirlo in una stalla, finendo così bruciata dopo essere stata sbrindellatada topi e maiali. Francesco Marino Mannoia si autoaccusò del furto, confermando la distruzione del dipinto: un destino insomma brutale e in larga parte sconosciuto per questo inestimabile capolavoro. Nel dicembre 2015, grazie alla moderna tecnologia, è stata comunque collocata nell’oratorio palermitano una riproduzione fedele del Caravaggio scomparso. È andata decisamente meglio all’Efebo, la statuetta del V secolo a.
C. conservata nell’anticamera del sindaco di Selinunte ( Trapani), dove era usata per appendervi il cappello, e rubata nel 1962 dalla mafia. Il prezioso bronzo, che venne offerto dagli intermediari perfino al miliardario Jean Paul Getty, fu recuperato il 13 marzo 1968 in pieno centro a Foligno, al termine di un conflitto a fuoco. Protagonisti della rocambolesca vicenda furono Rodolfo Siviero, lo storico dell’arte e antiquario Giuseppe Fongoli – amico di Siviero – e i fratelli Duilio e Nazzareno Brodoloni, gli osti della locanda folignate “Sparafucile” in cui approdò il quintetto di mafiosi trapanesi in attesa di vendere l’Efebo a un fantomatico acquirente, cadendo nella trappola tesa loro da Siviero. Al di là delle sottrazioni in tempi di pace, risulta davvero imponente l’elenco delle opere perse durante l’ultimo conflitto mondiale. Un elenco dove i misteri non mancano, come la sparizione del dipinto di Raffaello Ritratto di giovane uomo, custodito fino al 1939 nel museo di Cracovia e da qui prelevato, dopo l’invasione della Polonia, dal gerarca nazista Hans Frank. Nel 1945, all’arrivo dei sovietici, il ritratto si eclissò inghiottito dalla storia, senza lasciare indizi dietro di sé: qualcuno azzarda che esso si trovi ancora in Russia, dimenticato al termine della guerra fredda in un deposito o appeso in casa di un anonimo collezionista. Appare chiaro, però, che la maggior parte delle opere sono andate perdute, nel corso del conflitto, soprattutto a causa dei bombardamenti. L’incendio della Flakturm Friedrichshain a Berlino, torre in cemento armato dentro cui i nazisti avevano ammassato svariati oggetti d’arte, avvenuto nella notte del 5 maggio 1945, incenerì oltre quattrocento opere di eccezionale valore, come la Pala Sarzana di Andrea del Sarto, il Giudizio universale del Beato Angelico, la prima versione di San Matteo e l’angelo del Caravaggio. Pare tra l’altro che il fuoco fosse stato appiccato dagli stessi nazisti in fuga. Invece a Dresda, conosciuta come la “Firenze dell’Elba” per la sua ricchezza artistica e architettonica, sotto le bombe alleate finì in polvere il dipinto di Courbet Gli spaccapietre, vittima illustre insieme ad altre centinaia di opere. Lo splendore della Cappella Ovetari, nella chiesa degli Eremitani a Padova, all’interno della quale campeggiava un ciclo di affreschi unico dovuto, tra gli altri, alla mano del giovane Mantegna, è giunto fino a noi grazie alle foto in bianco e nero scattate, verso il 1910, da Domenico Anderson per conto di Alinari, in quanto gli affreschi furono sbriciolati l’11 marzo 1944 dal bombardamento aereo della chiesa. Un altro capitolo, riguarda le opere considerate prede di guerra dagli eserciti invasori. Un “vizio” comune a tutta l’antichità, a partire dai romani, ma che ha avuto nelle cosiddette spoliazioni napoleoniche uno degli apici nell’età moderna. Si trattava in pratica di furti che le truppe imperiali perpetravano ai danni del patrimonio culturale delle nazioni vinte, trasferendo dipinti e sculture in luoghi di transito – per esempio Brera a Milano – per poi inviarle innanzi tutto al Louvre, divenuto nel 1795 Musée des Monuments Français. Tantissimi capolavori della penisola giunsero quindi in Francia, per poi essere recuperati all’indomani della caduta di Napoleone. Ma non tutte le opere presero la via del ritorno: la tela di grandi dimensioni del Veronese le Nozze di Cana, che dovette essere tagliata dai soldati francesi per poterla trasportare, si trova ancora oggi al Louvre insieme allaMadonna della vittoria di Mantegna. Due esempi di opere “rubate” esposte in un museo.