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 2017  luglio 10 Lunedì calendario

Al Tour de France tra Aru e Froome ruggini e dispetti. La cronaca di Gianni Mura

CHAMBERY Di tutto, di più. Più cadute, e gravi. Meno corridori in corsa. Meno aspiranti al podio. E altre cosucce assortite: episodi che tutti vedono tranne i diretti interessati, tattiche non molto convincenti, il Club Bardet a orecchie un po’ basse, gli Astana soddisfatti, Froome anche, Uran in paradiso perché era convinto di avere perso lo sprint da Barguil e invece il fotofinish dice il contrario. Uno sprint senza sprinter, con Froome che guadagna 4” di abbuono sulla concorrenza. Per durezza e crudeltà è stata una tappa da ricordare e per via di alcune ruggini potrebbe influenzare le ultime due settimane di Tour.Bisogna cominciare dalle cadute, perché sono loro a determinare la classifica, non imprese egregie. L’impresa, ieri, era quella di stare in piedi. Perché il dio dei ciclisti ha avuto pietà di loro, non li ha colpiti con palle di fuoco come sabato, ma era una pietà perfida, gratta gratta. Perché le strade (molte salite dunque molte discese) erano in parte asciutte in parte umide o bagnate. Traditrici. Ne hanno fatto le spese in avvio Geesink e Mori, ritirati, poi Trentin, che coraggiosamente ha continuato con un gomito malconcio arrivando però fuori tempo massimo di 2’13”. Nella discesa dal Grand Colombier è toccato a Thomas, il primo aiutante di Froome. Nella discesa dal Mont du Chat, rovinosamente, Richie Porte, l’amico di Froome ma anche l’avversario più temuto. Se ieri mattina c’erano 10 corridori in un minuto, adesso ce ne sono quattro. Si è inserito Rigoberto Uran, un colombiano simpatico che in Italia conosciamo bene, ma non sembra uomo da podio. Sui grandi giochi torneremo.Ora sarebbe da raccontare la tappa di ieri, che inizialmente ricorda quella del giorno prima. Scappano in 37, il gruppo fino ai 6’ lascia fare, davanti è un alternarsi di gruppetti. I più attivi sono quelli dell’AG2R. Le salite,alquanto carogne, sono poco note. Il Col de la Biche è una novità assoluta, come inedito è il Grand Colombier da questo versante. Il Col du Chat fu scalato solo nel ’74: Poulidor mando quasi in crisi Merckx, che recuperò nella lunga discesa. Si arrivava ad Aix-les-Bains. Dal 2001 il centro di formazione ciclistica dell’AG2R ha sede a Chambery. Da qui, tirati su come si deve, ne sono usciti quattro in gara al Tour: Bardet, Donort, Brandauer e Latour. Davanti, si scatena Barguil, all’attacco già sabato. In cima al Col du Chat passa da solo. Dietro, quando mancano circa 2 km alla cima, accadono due cose contemporaneamente: Froome alza un braccio per richiamare l’attenzione della sua ammiraglia e Aru scatta forte (non fortissimo come alla Planche des Belles Filles). Porte e Quintana gli saltano sulla ruota, ma non danno cambi. L’azione sfuma. Froome rientra e poco dopo piazza una gomitatina al fianco di Aru, che non fa una piega né sul momento né a corsa finita, quando pedala sorridendo sui rulli. La parola ai protagonisti. Aru: «Non ho visto Froome col braccio alzato. Poi dall’ammiraglia mi hanno detto che aveva problemi col cambio e ho rallentato». Froome: «Non so se Fabio è partito mentre chiamavo l’ammiraglia, stavo guardando indietro. Però voglio ringraziare tutti i miei avversari che hanno agito sportivamente, più di tutti Porte che li ha avvisati del mio contrattempo e dell’inopportunità di attaccarmi». Aru: «Ma che gomitata? Froome mi ha ringraziato. Magari vicino a me l’ha spinto un tifoso. Non c’è stata nessuna discussione tra me e lui? Su cosa, poi?». Froome (prima versione dopo l’arrivo): «Tanta paura, alla fine tutto bene. Nessuna discussione con Fabio». Seconda versione, dopo più di un’ora, in conferenzastampa: «Forse mi ha sbilanciato un tifoso, ma non avevo intenzioni aggressive». Alla seconda domanda sulla faccenda, Froome si alza e se ne va senza salutare. Ora, penso che almeno l’80% di quello che leggete tra virgolette siano bugie, ma non andrò contro una regola del vecchio giornalismo: mai distorcere le dichiarazioni. La gomitatina in tv l’hanno vista tutti, e nessuno il tifoso che fa perdere l’equilibrio. Una corsa così ha storie e scorie. Il riposo farà bene a tutti. A tutti quelli che ci arrivano. Non al giglio di Morino, Manuele: lussazione della spalla destra e pneumotorace completamente drenato. Non a Geesink: frattura rachide lombare. Non a Thomas: frattura clavicola destra. Non a Porte: trauma cranico senza conseguenze neurologiche e forte traumatismo al bacino. Sono fragili, i ciclisti. Il carattere può essere ferro, acciaio, ma tutto il resto è vetro. Pensiamoci, ogni tanto. Porte fa l’ultima opera buona del Tour bloccando un attaccuccio di Aru, in discesa ha paura ed è la cosa peggiore. Finisce a sinistra sul ciglio fangoso, rimbalza dalla parte opposta della strada e mentre si sta rialzando viene centrato e steso da Dan Martin, che non può evitarlo. Una caduta che mi ricorda quella di Ocaña sul col de Menté: rimbalzato e centrato da Zoetemelk mentre si rialzava. La discesa del Mont du Chat ha avuto più conseguenza della salita, pure micidiale.In discesa è Froome a guidare il gruppetto, che a nessuno vengano cattivi pensieri. Davanti c’è Barguil, commovente poveraccio, che si sta spegnendo come un lume a olio. In discesa l’attacco di Bardet sorprende Froome, lo passa a velocità pazzesca quando mancano 17 km all’arrivo, raggiunge Barguil, lo pianta lì, sfiora il mezzo minuto di vantaggio, è ripreso ai meno due anche perché tutti collaborano con Froome. Resto perplesso. È vero che c’era una tappa da vincere e Quintana staccato (perde 1’15”), ma la prima regola è non aiutare il più forte, quindi il peso dell’inseguimento andava lasciato sulle sue spalle. E poi non si vince se Fuglsang parte ai 600 metri e tira la volata a tutti, compreso Uran che poteva usare solo il 53x11. Come già Boasson Hagen, questa vittoria se la meritava Barguil, che con l’ultimo fiato fa scattare il fotofinish. Oppure Bardet. Infine, gli avvoltoi hanno smesso di volteggiare sulle bici del fratello di Sagan e di Demare, arrivato 20’ ftm. Peccato che con lui, oltre a Renshaw, tornino a casa gli innocenti crocerossini Konovalovas, Guarneri e Delage. Non è stata una genialata da parte di Marc Madiot. Dovessi dire che mi ha convinto la tattica dell’Astana, direi una bugia. Ora ne ha due nei primi cinque, vediamo come se li gioca.