Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  luglio 08 Sabato calendario

Trump - Putin: il pareggio degli alfa-leader

ALLA FINE Donald Trump e Vladimir Putin offrono un briciolo di speranza al mondo intero: è un accordo per garantire una tregua limitata, nel Sud-Ovest della Siria, con possibilità di estenderla. Unico risultato concreto dal “match dell’anno”, l’incontro bilaterale più atteso, capace quasi di offuscare l’intero G20. Doveva durare mezz’ora, si è prolungato su tempi infiniti per due capi di Stato: due ore e un quarto.
È iniziato con una foto che la dice lunga sulla recita che ciascun personaggio riserva alla propria platea nazionale. È il momento d’esordio del loro summit, decine di fotografi scattano a ripetizione, i siti del mondo intero riproducono istantaneamente le loro posture. Quasi gemelle. Gambe larghe, schiena dritta, petto in avanti. Due alfa-maschi, due capi- branco, gli mancano solo le corna dei cervi che stanno per lanciarsi nello scontro. Uno esibisce nella camicia sempre troppo stretta i muscoli pettorali del judoka, l’altro la capigliatura- ariete che pochi giorni prima furoreggiava in un finto combattimento di wrestling contro un pupazzo-Cnn.
In campagna elettorale (americana) alcuni esperti di comunicazione invitavano a seguire i duelli televisivi spegnendo l’audio: nel linguaggio corporeo, sia contro i rivali repubblicani sia contro Hillary, Trump si muoveva in modo da emanare l’impressione di un dominio fisico, di una superiorità nel possesso dello spazio.
Tra i due “macho” al G20 di Amburgo invece la postura diceva pareggio, finto duello rituale, rinuncia al combattimento vero, spartizione equa dello spazio scenico. Trump twittava in anticipo, a incontro non ancora iniziato, dicendosi «onorato» e sicuro che «accadranno tante cose positive tra Stati Uniti e Russia». Confermato dal segretario di Stato Rex Tillerson che alla fine ha parlato di «alchimia positiva», «connessione immediata» e altre piacevolezze. Più abile, il suo collega ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha attribuito al proprio campione una mezza vittoria: «Trump – dice la versione russa – ha accettato la posizione di Putin sul fatto che il Cremlino non si è intromesso nella campagna elettorale americana». Perché questo, ovviamente, era il vero elefante nella stanza.
Il match dell’anno era stato preceduto da attese spasmodiche, timori enormi, sospetti e diffidenze e dietrologie a non finire. Riassumendo: mezza America che non lo ha votato, è convinta che Trump si trova alla Casa Bianca perché Putin ha manovrato spionaggio, fake- news e calunnie per danneggiare Hillary. Fbi e Cia hanno fornito materiale che sembra avvalorare quella tesi. Un super- procuratore nominato dallo stesso Dipartimento di Giustizia di Trump, Robert Mueller, sta indagando su questo Russiagate e chissà cos’altro potrebbe venir fuori sui numerosi intrallazzi tra gli uomini del presidente e Mosca. Per tentare di fugare almeno i sospetti più infamanti Trump avrebbe dovuto esprimere vibrate proteste per le incursioni degli hacker russi. Ammesso che a porte chiuse lo abbia fatto, quell’altro lo ha sommerso di smentite. Alla fine resta il verdetto pilatesco, e abbastanza codardo, di Tillerson secondo cui la vicenda delle ingerenze «resterà inestricabile». Mettiamoci una pietra sopra, insomma.
Ben diverso il linguaggio che Trump aveva tenuto alla vigilia. Parlava a Varsavia, a un’audience storicamente prevenuta contro l’espansionismo russo. Aveva accusato Putin di comportamenti «destabilizzanti, dall’Ucraina alla Siria». L’indomani, ad Amburgo: cordialità, ottimismo, pacca sulla spalla. Trump il camaleonte, l’improvvisatore, l’opportunista, lo showman che fiuta d’istinto l’audience che ha di fronte. Trump che torna alla casella di partenza: durante l’intera campagna elettorale ebbe un vero idillio a distanza con Putin, il quale contraccambiava con elogi e complimenti. Attrazione fatale di un Uomo Forte verso un suo simile; Putin inoltre ha sempre rispettato chi ha tanti soldi.
Ora si tratta di vedere se Mosca farà regali concreti. La Siria è un test micidiale. Un’analoga tregua concordata fra Putin e Obama fallì quasi subito. Nei timori della vigilia, molti esperti americani paventavano un duo di «dilettanti allo sbaraglio», Trump e Tillerson, contro due vecchie volpi come Putin-Lavrov.
Può darsi che a Putin faccia comodo inaugurare un disgelo; e che Trump d’istinto lo voglia mettere alla prova. Ucraina, sanzioni, Iran: molti dossier si potrebbero riaprire. Ma lo stesso Trump ordinò 59 missili su Assad, per far vedere di essere più “macho” di Obama. Putin sarà più preparato e più furbo, lui lo batte per imprevedibilità.