Corriere della Sera, 8 luglio 2017
Così il Fisco ci controlla
Nel 2013, quando debuttò, il nuovo redditometro sembrava la bacchetta magica contro gli evasori fiscali o il simbolo dello Stato vessatorio, secondo i punti di vista. L’idea era semplice: incrociare i redditi dichiarati con le spese della famiglia. Se compro una Ferrari e denuncio un reddito di 10mila euro l’anno, probabilmente sono un evasore. Fin dall’inizio, però, le polemiche accompagnarono il «super redditometro» come fu chiamato allora perché le voci di spesa che sarebbero state controllate erano addirittura più di 100: dai giocattoli alle scommesse on line, dai gioielli agli abbonamenti pay tv, dalle barche all’iscrizione a circoli esclusivi. Oggi si scopre che è stato un flop. E vedremo perché. Ma partiamo dall’inizio.
Istituito con un decreto ministeriale del 24 dicembre 2012, il redditometro vide subito una polemica tra l’allora presidente del Consiglio, Mario Monti, che disse di essersi limitato ad applicare quanto previsto dal decreto legge 78 del 2010 (governo Berlusconi) e l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che respinse la paternità della riforma, sostenendo che il decreto del 2010 mirava solo ad aggiornare il vecchio redditometro basato su parametri arcaici ma non a costruire un mostro «basato su statistiche di massa e così intrusivo».
1 No ai controlli di massa
In effetti il super redditometro all’inizio prevedeva che le spese dei contribuenti, in mancanza di riscontri puntuali, si sarebbero potute determinare in base a quelle medie risultanti all’Istat per aree geografiche e nuclei familiari. Ci si rese subito conto che si sarebbe rischiato un contenzioso diffuso. Intervenne anche il Garante della privacy, che pose una serie di vincoli. E così l’Agenzia delle Entrate, già nella circolare del marzo 2014, circoscriveva l’applicazione pratica del redditometro precisando che l’amministrazione non avrebbe utilizzato né in fase di selezione delle liste di contribuenti sospetti né in sede di contraddittorio con gli stessi le medie di spesa dell’Istat. Per verificare gli scostamenti tra consumi e redditi dichiarati si sarebbe quindi proceduto solo con riferimento alle spese accertate in capo al soggetto (niente strumenti presuntivi insomma). Risultato: le ambizioni iniziali subirono un drastico ridimensionamento, il redditometro tornò ad essere uno tra i tanti strumenti di accertamento dell’evasione. L’Agenzia delle entrate chiarì che non ci sarebbe stata alcuna campagna di controlli di massa: gli accertamenti da redditometro sarebbero stati al massimo 35mila su 40milioni di contribuenti, focalizzati sui grossi patrimoni, e sarebbero scattati solo in caso di scostamento superiore al 20% tra redditi e spese accertate e comunque con una differenza non inferiore a mille euro al mese.
2 Solo 2.812 verifiche
Ora la Corte dei Conti, come ha riportato ieri il Sole 24 ore, ha certificato il fallimento del super redditometro: nel 2016 gli accertamenti effettuati con questo strumento sono stati solo 2.812, il 52% in meno del 2015, e si sono recuperati per questa via appena 2 milioni di euro. I dati parlano da soli, anche se i tecnici del Fisco fanno osservare che essi vanno «contestualizzati». Primo. le aspettative riposte sul super redditometro erano eccessive perché da subito esso fu circoscritto per tanti motivi (timori politici, garanzie sulla privacy, poco personale, difficoltà tecniche). Secondo: gli strumenti di contrasto dell’evasione più efficaci si sono rivelati altri, in particolare gli accertamenti analitici che tengono conto non solo del reddito Irpef, come fa il redditometro, ma anche di quello d’impresa (e spesso i beni acquistati sono intestati alle società). Terzo: negli ultimi due anni circa il 40% dei dipendenti dell’Agenzia che si occupano di controlli sono stati dirottati sulla gestione delle 130mila domande di voluntary disclosure.
3 Strumento residuale
Per il futuro, nella lotta all’evasione si punta su fatturazione elettronica; trasmissione telematica dei corrispettivi; archivio dei conti correnti; scambio di informazioni finanziarie tra i 97 Paesi dell’Ocse. Il redditometro continuerà a vivere, spiegano, ma resterà residuale. All’inizio sul sito dell’Agenzia avevano persino messo il Redditest per consentire al contribuente una verifica preventiva di eventuali scostamenti a rischio tra spese e reddito. Ma da tempo la pagina non è più attiva.