Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  luglio 08 Sabato calendario

Don Mario Delpini, l’insegnante dei preti che parla inglese e greco antico. «Io, brav’uomo un po’ mediocre»

CITTÀ DEL VATICANO Un pastore «con l’odore delle pecore», il profilo che predilige papa Francesco: «Sono un prete e il messaggio che posso dare alla città è di ricordarsi di Dio». Un uomo sobrio, ironico, colto ma senza ostentazione, nel caso determinato. C’è tutto «don Mario», come lo chiamano i sacerdoti milanesi, nelle prime parole da arcivescovo. Il successore di Ambrogio sorride e dice di avvertire la propria «inadeguatezza», arriva a definirsi «solo un brav’uomo un po’ mediocre», assicura che «ascolterà tutti» e avrà bisogno di «confrontarsi» con «teologi e accademici», parla di «condivisione» e «sinodalità». E così, con un discorso di grande intelligenza e finezza, risponde e tende la mano a chi sperava in un colpo di scena «esterno», ai sacerdoti ambrosiani che nelle consultazioni di metà giugno avevano proposto il profilo di un vescovo che venisse da fuori diocesi come Schuster, Montini o Martini. Del resto, monsignor Delpini conosce meglio di chiunque la Chiesa di Milano. Come Giovanni Colombo nel ‘63, arriva a guidare la diocesi ambrosiana un sacerdote che vi ha passato tutta la vita.
Gli studi
Terzo di sei figli, Mario Delpini è nato nel 1951 a Gallarate e cresciuto a Jerago con Orago, provincia di Varese e diocesi ambrosiana. A sedici anni, in prima liceo classico, è entrato nel seminario diocesano di Venegono, nel ’75 è divenuto sacerdote. Dopo la laurea in lettere classiche alla Cattolica, arrivano la licenza in Teologia a Milano con una tesi su Pico della Mirandola e il diploma in Scienze teologiche e patristiche all’Augustinianum di Roma. Parla il greco antico come l’inglese, ha insegnato patristica e lettere classiche.
I predecessori
La sua vita sacerdotale è scandita dal rapporto con i quattro arcivescovi che lo hanno preceduto: Giovanni Colombo lo ha ordinato sacerdote nel ’75, in Duomo; Carlo Maria Martini lo scelse come rettore del seminario inferiore (il liceo) di Venegono nell’89 e di quello maggiore nel 2000; Dionigi Tettamanzi lo ha ordinato vescovo nel 2007, dopo la nomina ad ausiliare; e Angelo Scola, infine, lo ha voluto nel 2012 come vicario generale e quindi suo «vice».
Il clero
Non a caso, il cardinale Scola gli aveva affidato la formazione permanente del clero. Il nuovo arcivescovo conosce i preti ambrosiani uno per uno, dà loro del «tu», molti sono stati suoi studenti in seminario. Il buon rapporto con i sacerdoti della diocesi è stato determinante nella scelta del Papa: anche il nuovo Vicario di Roma, Angelo De Donatis, si occupava da vescovo ausiliare della formazione del clero.
Lo stile
Pure da vicario generale, monsignor Delpini non ha cambiato le sue abitudini. Abita assieme ad altri sacerdoti, per lo più anziani, nella casa del clero di via Settala. Ogni mattina raggiunge piazza Fontana e il palazzo arcivescovile in bicicletta e caschetto protettivo. Il tutto con naturalezza, senza ostentazioni. Ieri scherzava: «Il cardinale Scola ha detto che vivo in estrema povertà, però non è che stia sotto un ponte!».
I libri
Non ha pubblicato testi scientifici, a parte qualche saggio su riviste specializzate, ma ha scritto libri che hanno titoli come E la farfalla volò oppure Con il dovuto rispetto. Frammenti di saggezza all’ombra del campanile : apologhi, fiabe e racconti legati all’esperienza parrocchiale. L’opera più conosciuta è Reverendo, che maniere!, «piccolo galateo pastorale» rivolto ai preti. I fedeli ne apprezzano la predicazione diretta, semplice, ironica. Tempo fa, per spiegare come ci si confessa, ha scritto un decalogo intitolato «cosa rende la confessione inutile», l’elenco di ciò che non bisogna fare. Cominciava così: «Confessare i peccati degli altri invece che i propri, e confidare tutte le malefatte della nuora, dell’inquilino del piano di sopra e i difetti insopportabili del parroco, dopo aver accertato che il confessore non sia il parroco».