Corriere della Sera, 8 luglio 2017
Walzer: «La tregua è buona, se seria. Ma a Damasco la Russia ha già vinto»
Il cessate il fuoco nella Siria sud-occidentale annunciato da Trump e Putin è «un buon accordo, sempre che sia serio», dice al Corriere il filosofo politico Michael Walzer, autore di «Guerre giuste e ingiuste» (Laterza), parlando dall’Università di Princeton subito dopo l’incontro tra i presidenti americano e russo al G20. «Le precedenti tregue non sono state prese sul serio dal governo siriano e dai suoi protettori». «Quel che è interessante stavolta – nota Walzer – è l’inclusione della Giordania e di Israele. Se la Russia riconosce questi due attori, vorrà dire che gli Stati Uniti riconoscono l’Iran e il Libano (Hezbollah)? Israele è stato escluso da tutte le precedenti conferenze. I russi si sono girati dall’altra parte quando le bombe israeliane hanno colpito Hezbollah in Siria, ma sembrava un approccio informale. Formalizzare le cose è un passo avanti, perciò questo è un buon accordo, sempre che sia serio».
Si aspetta presto un’intesa più ampia sulla Siria? Trump avrebbe ribadito che non vede un ruolo per Assad. Ma la tregua annunciata ieri non mette in discussione il regime.
«Non penso che un accordo sulla Siria stia per arrivare. È ormai acclarato che la Siria è nella sfera di influenza russa: nessun governo americano contesterebbe oggi quest’idea. Vorremmo che ci fossero zone sicure per i nostri amici: per esempio, un pezzo di Siria nel nord gestito dai curdi sotto protezione Usa. Ma dubito che i russi siano d’accordo, e i turchi di sicuro non lo sono».
L’amministrazione Usa afferma che Trump ha fatto pressioni su Putin a proposito delle interferenze russe nelle elezioni, ma poiché Putin ha negato hanno preferito parlare del futuro. Cosa ne pensa?
«I media studiano al microscopio ogni gesto in questo incontro perché tutti hanno il sospetto che Trump sia in debito con Putin e cercano indizi per capire se è vero. Io sospetto che la priorità di Trump fosse di dimostrare che non è in debito con Putin, che non è una pedina nelle mani dei russi e di mettere da parte la storia dell’hackeraggio russo. Ma la questione delle interferenze russe nella nostra politica è qualcosa che tuttora non capiamo».
Gli Usa hanno nominato «un rappresentante speciale» per la crisi in Ucraina. Una soluzione è più vicina?
«È difficile dire quando la politica estera americana sia determinata da Trump e quando dai generali Mattis, McMaster e forse dal segretario di Stato Tillerson. In passato Trump ha dato l’impressione di essere pronto a fare un accordo, anche a spese dell’Ucraina e dei siriani. Ma ha scelto persone con una visione diversa. La politica del Pentagono sembra una continuazione o un rafforzamento di quella obamiana, così le sanzioni continuano. Nessuno si aspetta che Mosca restituisca la Crimea. Un futuro accordo riguarderà l’Ucraina orientale: penso che a un certo punto ci si arriverà. Ma resta sempre la domanda: quanto durerà l’attenzione di Trump?».