Libero, 10 luglio 2017
«Renzi maldestro sugli immigrati. Per piacere a tutti perde la bussola». Intervista a Luca Ricolfi
Professor Ricolfi, lei ha detto che insistere sullo ius soli è «autolesionismo». Renzi, però, sembra deciso a farlo: «È un principio di civiltà», ha detto. È pazzo o, a suo modo, coraggioso?
«Forse Renzi ha bisogno di intestarsi questa battaglia per tenere unito il popolo di sinistra, che Pisapia e i fuorusciti dal Pd gli stanno contendendo».
Anche se adesso ha un po’ corretto linea: avanti con lo ius soli, ma i migranti vanno aiutati a casa loro.
«Sono le contorsioni di un uomo che ha perso la bussola. Ha passato tre anni cercando di convincerci che salvataggi in mare e accoglienza fossero doveri morali, imperativi categorici cui la sinistra non può sottrarsi, pena la perdita della propria identità, e ora dice che bisogna mettere un tetto ai flussi migratori, ma al tempo stesso non rinnega lo ius soli. A me sembra un tentativo maldestro di salvare capra e cavoli. Dove la “capra” è il punto di vista della gente comune, che non ne può più degli sbarchi, e i “cavoli” sono i sentimenti della sinistra benpensante, che vuole sentirgli dire “almeno una cosa di sinistra”. E dal momento che, sulle cose che contano (economia e mercato del lavoro), Renzi la pensa come la destra, non gli restano che le grandi “battaglie civili”: fecondazione assistita, unioni civili, quote rosa, introduzione del reato di tortura e, appunto, ius soli».
Ma non è giusto riconoscere la cittadinanza a chi parla italiano e frequenta le nostre scuole?
«Sì, è giusto, il problema sono i tempi e i numeri. L’Italia è già fra i Paesi che, negli ultimi anni, sono stati più generosi nella concessione della cittadinanza. Allargare ulteriormente le maglie ora, con flussi migratori fuori controllo, può rivelarsi una mossa azzardata».
La legge prevede delle condizioni per accedere alla cittadinanza. Cosa non la convince?
«Al di là dei dettagli, in cui peraltro spesso si annida il diavolo, il punto è il messaggio che si invia a chi desidera trasferirsi in Europa. Per ora i messaggi sono due: in Italia si arriva facilmente, perché c’è sempre qualcuno che ti salva e ti sbarca nella penisola; e chi riesce ad arrivarci vivo (il 99% di chi parte) può fermarsi anche se non ne avrebbe il diritto, perché tanto non ti riportano indietro. Lei pensa che una legge che allargasse le maglie della cittadinanza, qualsiasi cosa ci sia scritto dentro esattamente, non rafforzerebbe questi due messaggi?».
Pensa anche lei, come Salvini o la Meloni, che si rischia un’invasione?
«Io non la chiamerei invasione. Innanzitutto per rispetto della lingua italiana. Come si fa a chiamare invasione un fenomeno che, negli ultimi 10 anni, ha fatto sbarcare in Italia più o meno lo stesso numero di migranti accolti dalla Germania in un solo anno? Ma, soprattutto, come si fa a chiamare invasione un fenomeno che alimentiamo noi stessi? Invasione sarebbe se gli sbarchi fossero molti di più, e se i migranti non ce li andassimo a prendere noi stessi».
Allora, se non c’è un’invasione, qual è il problema?
«Il punto è che gli stessi numeri assumono significati del tutto diversi a seconda che il flusso sia ordinato e legale, oppure disordinato, irregolare, e gestito con una disorganizzazione che dura da decenni. Per non parlare del business criminale che gira intorno all’immigrazione, dallo sfruttamento degli immigrati nella raccolta dei pomodori, fino al business dell’accoglienza. Ecco perché un milione di migranti gestiti dalla Merkel non appaiono un’invasione, mentre 100 o 200 mila sbarchi gestiti da noi possono apparirlo».
Il presidente dell’Inps ha detto che chiudere le porte agli immigrati ci costerebbe 38 miliardi. Ha ragione?
«Ho troppa considerazione per l’intelligenza di Tito Boeri per pensare che non sappia lui stesso di aver fatto un ragionamento tendenzioso. O puramente ragionieristico, se preferite. Nel calcolo di Boeri, secondo cui gli immigrati ci farebbero risparmiare 1.7 miliardi l’anno nei prossimi 22 anni, mancano almeno 5 voci essenziali: quel che ci costa oggi l’accoglienza; quello che ci costano gli immigrati che non lavorano; quello che ci costano, anche in termini di criminalità, gli immigrati irregolari; quel che ci costano gli immigrati in carcere (un detenuto su tre); quello che ci costeranno le pensioni degli immigrati quando ne matureranno il diritto (la simulazione di Boeri si ferma al 2040, giusto in tempo per non includere questa voce). E la prima voce da sola, il costo dell’accoglienza, è già oggi più del doppio del risparmio calcolato da Boeri».
La scelta di Macron di chiudere i porti francesi ha spiazzato il Pd. Lei cosa ne pensa?
«Macron è spiazzante per la sinistra perché dimostra che si può essere contro l’accoglienza senza essere di destra, xenofobi o razzisti. Ma la posizione di chiusura di Macron, Merkel e altri leader europei è forse meno nuova di quel sembra. Ammesso che sia vero quel che ha rivelato Emma Bonino nei giorni scorsi, e cioè che è stato il nostro governo (con Renzi stesso) a volere il monopolio della gestione dei salvataggi, quel che sta facendo Macron sarebbe semplicemente di tenere la barra dritta su una linea europea comune, concordata anche con noi. Una posizione del tipo: avete voluto la bici? Ora pedalate...».
Minniti ha detto che c’è un nesso tra immigrazione e mancata integrazione. Solo che il modello di integrazione francese è fallito, quello inglese, pure. Ne esiste uno che funziona?
«Nessuno può funzionare al 100%. Però delle condizioni per minimizzare danni e rischi si possono indicare facilmente: flussi modesti e controllati, obbligo di automantenimento con un lavoro regolare, test e/o corsi di lingua obbligatori, governi che non chiudono un occhio sulla violazione delle leggi, norme contro la formazione di ghetti monoculturali».
In pratica diventare italiani?
«Quello su cui io non sarei tanto d’accordo è il controllo ideologico, che può essere persino controproducente: a un immigrato puoi chiedere di rispettare le nostre leggi, non di contrarre le nostre abitudini, acquisire la nostra mentalità, aderire ai nostri valori».
La fatica della sinistra ad affrontare il tema dell’immigrazione ha a che fare con il tema che affronta nel suo libro, “Sinistra e popolo”?
«Certo, la passione della sinistra per i migranti è una sorta di compensazione per la sua rinuncia alla difesa dei ceti popolari. La sinistra non ama il popolo, ma per potersi ancora chiamare sinistra ha bisogno di amare i migranti. I migranti sono una specie di “succedaneo” della classe operaia».
A stare con il popolo non si rischia di scivolare su posizioni populiste, che portano voti, ma non sono razionali?
«A me il popolo sembra ragionevolissimo. Alle volte perde le staffe, ma lo fa perché è anni che viene ignorato, o deriso, o addirittura disprezzato da chi pensa di avere il monopolio della verità, della giustizia, della civiltà».
Cosa ne pensa dell’operazione di Pisapia? Riuscirà elettoralmente?
«No».
Nascerà una Cosa di centro, c’è uno spazio politico?
«Nascerà, ma non c’è spazio. O meglio lo spazio ci sarebbe anche, ma solo se fosse un centro guidato da una figura nuova e prestigiosa, senza le inclinazioni clientelari e assistenziali dei vari partitini di CasiniFollini-Fini».
Chi vedrebbe bene a guidarla? Carlo Calenda?
«Calenda è troppo bravo e intelligente, ma, soprattutto, è troppo liberale per guidare un partitino di centro».
Cosa ne pensa del ritrovato protagonismo di Romano Prodi? Secondo lei punta a qualcosa?
«Prodi fa parte di quella categoria di persone che credono di poter fare a meno della politica, ma appena ci provano si rendono conto di non riuscirci. Non credo punti a qualcosa, penso punti ad esserci».
Dopo la batosta delle Amministrative, ora Renzi sembra essere tornato saldamente in sella al Pd. É così o il logoramento ricomincerà?
«Mi pare che il logoramento sia già ricominciato».
Perché a sinistra c’è questo cannibalismo nei confronti dei leader?
«Forse perché la sinistra non ha più idee generali, né progetti convincenti, e così le resta solo la competizione fra galli che ci regala oggi. Ma distinguerei fra cannibalismo e scissionismo. Mentre lo scissionismo fa parte del codice genetico della sinistra, il cannibalismo è il frutto di una mutazione relativamente recente: non ricordo cannibalismo ai tempi di Berlinguer, forse perché il comunismo era un’idea (sbagliata), mentre il luogocomunismo di questa sinistra confusa e autocompiaciuta, culturalmente, è il nulla.»
Che futuro vede per Gentiloni?
«Radioso, chi viene dopo Renzi acquista benemerenze ineguagliabili».