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 2017  luglio 10 Lunedì calendario

Intervista a Nicolò Martinenghi: «La rana e un po’ di follia Mi sento in rampa di lancio»

Una soffiata al ciuffo biondo per liberare l’orizzonte. Nicolò Martinenghi deve ancora nuotare al primo Mondiale ed è già un osservato speciale. Record a pioggia, aspettative, talento portato con la disinvoltura dei 17 anni. Ranista convinto, appassionato di musica «dalla classica alla commerciale», annoiato sia dalla lettura sia dalla playstation («Ho bisogno di concretezza, devo muovermi, uscire»), neo single: «Scelta mia, niente drammi».
Pronto per il taglio da matricola ai Mondiali di Budapest?
«Certo che sì, un po’ di sano nonnismo ci sta».
Poi si rasa a zero come la maggioranza o si tiene il capello assurdo alla Paltrinieri?
«Valuterò. Agli Assoluti mi sono presentato con i baffi, ma mi hanno imitato in tanti e allora non vale più la pena».
A 17 anni, oltre ai tempi, detta pure le mode?
«Il baffo era scaramanzia, ha portato buono e l’ho accentuato: ora basta. Mi libero dall’amuleto. Vediamo di inventare altro»
Baffi a metà alla Tamberi?
«Per carità, questo genere di pazzie non fanno per me».
Quali pazzie fanno per lei?
«Ci sono i nuotatori e poi i ranisti, quelli fuori di testa».
Si nasce pazzi e ranisti quindi o la rana sveglia l’estrosità?
«È più un approccio alla vita: mente libera e impulsività costante fuori dall’acqua. La rana ti obbliga a inventarti. La tecnica perfetta non porta lontano, devi trovare i dettagli che fanno la differenza per te e curarli. Sei obbligato alla simmetria totale, concentrazione assoluta in corsia e fuori molli ogni freno».
Punti di riferimento?
«Quel ragazzo che ha vinto le Olimpiadi mi sembra un ottimo pesce pilota. A parte gli scherzi, Peaty è un fenomeno».
Che cosa gli ruberebbe?
«Tutto. Se devo scegliere, il sincronismo dei movimenti tra bracciata e gambata. Una poesia».
Fioravanti per lei chi è?
«Un grande, i primi ori olimpici del nuoto azzurro proprio nella rana. Ma a lui non ruberei nulla: paragonato a quella generazione lo stile è in pratica un altro. Allora era da brividi, oggi mi sarebbe poco utile».
Come vivrà un Mondiale a 17 anni con gli occhi addosso?
«Come una gara uguale alle altre con la sola differenza che sul cartellone dietro c’è la scritta campionato del mondo».
Sicuro che la scritta non cambi più della scenografia?
«Sì, possono essere diverse le emozioni, però non negative, per me la tensione è energia. Mi sento alla fase rampa di lancio. L’obbligo è arrivare in finale, poi ci si prova in libertà».
Tre aspetti della Nazionale che non immaginava.
«L’unione. Da fuori viene spesso criticata, si sente dire che i veterani dettino legge, io devo solo dire grazie perché uno come Magnini mi ha aiutato a sentirmi parte di una squadra. La costanza, e ancora Filippo è un esempio: a 35 anni è il primo che arriva in piano vasca a fare stretching e parliamo di nuoto, una specialità dove i campioni dicono basta all’improvviso perché i nervi saltano. E il meglio è il divertimento, per fortuna si ride davvero un sacco. Temevo la noia dei ritiri, mai provata».
Nella sua famiglia sono tutti sportivi, come le hanno insegnato l’amore per questo mondo?
«Papà giocava a basket, a lui devo la passione per l’Nba. Tifo Cleveland, anche se non è andata come volevo. Mio fratello era pallanotista e mi ha contagiato, mamma ha fatto danza per anni. Lo sport a casa è un valore, vissuto sempre in modo tranquillo. Le ansie in questo campo non sono ammesse. Il nuoto mi ha restituito lo stesso rispetto».
Anche dentro la competizione?
«In acqua siamo pronti a sputarci addosso, ma l’impronta emotiva è quella del gruppo unito. Senza finte».
Identikit in tre punti.
«Amante degli horror da fifone, “Sinister II” mi ha fatto così paura che lo guardavo con la mano sugli occhi. Ammirato da Valentino Rossi, altro pazzo, uno che riesce a coinvolgerti. Tifo Inter, ma se continua così mi passa. Sono cresciuto con Mourinho e sono abituato a vincere».