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 2017  luglio 10 Lunedì calendario

Voglia di tirannia

Sono andati a chiedere a Marchionne, che stava a Spielberg (Austria) per il Gran Premio di Formula 1, se davvero sarebbe pronto a fare il presidente del Consiglio, così come vorrebbe  Berlusconi. Risposta: «Berlusconi è un grande, ha spiazzato tutti, ma io non ci penso per niente, neppure di notte».  

Normale, no? Sei pieno di soldi, cosa ti vai a infilare in mezzo a quella selva oscura che è la politica italiana di adesso...
Il presidente del Consiglio italiano, chiunque sia, conta poi meno di Marchionne, quindi Marchionne accettando una qualsiasi candidatura retrocederebbe... Ma è più significativa, a parer mio, l’idea di Berlusconi che la reazione di Marchionne.  

Perché?
Tradisce il sentire comune di questo periodo storico, in cui si crede più agli uomini forti che alle filosofie politiche o ai programmi che vogliano ridisegnare la società. La stretta di mano fra Trump e Putin...  

Già, la stretta di mano fra Trump e Putin. Ho letto il pezzettino di Michele Serra in prima pagina sulla Repubblica.
«Il topolino ha partorito la montagna. La democrazia è il topolino, la montagna sono i due autocrati Trump e Putin (entrambi regolarmente eletti) che si stringono la mano nel nome di un potere enorme, incarnato nella persona del Capo come da sempre accade nelle tribù umane. Così che nel 2017 il mondo, più di due secoli dopo le rivoluzioni francese e americana, ruota come prima, più di prima attorno alle parole e alle gesta dei Capi. Continuiamo a ripeterci che esistono i poteri di controllo, i parlamenti, le Costituzioni, il potere giudiziario. Ma, più che esistere, resistono; e a loro ci si appella come per un mantra consolatorio. Il sospetto è che la democrazia stia diventando una disciplina per minoranze eleganti, come lo yoga e l’alimentazione sana. Nel frattempo piccoli e grandi autocrati crescono: oltre ai due suddetti, Erdogan, i tradizionali despoti asiatici e arabi, un paio di ducetti sudamericani “de sinistra” e a modo suo anche Macron, di fatto un autocrate “dem”, l’uomo solo al comando al quale affidiamo le nostre residue speranze di liberté egalité fraternité...». Il passaggio più interessante è quella parentesi all’inizio, «entrambi regolarmente eletti». Qui non si tratta dell’abbaglio tedesco del 1933, quando Hitler fu spedito in Parlamento da un voto regolare. Qui si registra invece il crescere di un sentimento generalizzato, che denuncia tra l’altro il declino della democrazia così come la conosciamo.  

Cioè, non vanno più bene il Parlamento, le elezioni e il resto?
La democrazia che conosciamo si è sviluppata, almeno qui in Europa, su un limitato diritto di voto. Erano ammessi alle urne i ricchi e/o i capaci, cioè i colti (diciamola così). In poco più di mezzo secolo, dalla Grande Guerra al 1946, si è conquistato il cosiddetto suffragio universale, tutti possono votare e uno vale davvero uno. Ottimo, ma questa conquista s’è abbinata da un certo momento in poi alla comunicazione di massa, cioè alla televisione e, negli ultimi vent’anni, a internet. La televisione, soprattutto, è diventata decisiva, e infatti i parlamentari di adesso sono in genere bellissimi uomini e donne, specie se paragonati ai parlamentari degli anni Sessanta. Televisione, cioè apparenza più che sostanza, e slogan al posto del pensiero. Il crescere inarrestabile della finanza ha fatto il resto. Il consenso va comprato (gli 80 euro di Renzi), uomini che si muovono dietro le quinte e le Borse decidono i destini delle masse. Macron è un prodotto tipico di questo intreccio. Bello, giovane, ambiguo quanto basta: la moglie vecchia, le chiacchiere sull’omosessualità, un curriculum che comprende la Banca Rothschild e il Partito socialista, una conquista dell’Eliseo per la quale deve ringraziare molta gente di cui non abbiamo la minima idea. Marine Le Pen era la tiranna alla vecchia maniera. Per i nuovi autocrati tenere in pugno il consenso è relativamente facile. Pretendono prima di tutto il controllo dei media. E poi si sanno vendere. L’adorazione dei russi per Putin non è mai venuta meno. Erdogan, nonostante tutto, è ben sostenuto dal popolo turco, specie quello che vive all’estero. Siamo impreparati al ritorno di uno schema politico più terribile e semplice, reso possibile proprio dallo scassato suffragio universale. Non abbiamo mai creduto che Trump potesse vincere, e gli elettori, sempre meno interessati alla democrazia, ci hanno preso in contropiede.  

Renzi?
È parente di questo sentimento l’entusiasmo con cui lo abbiamo accolto. Il rovescio della medaglia è l’attuale caduta di consensi e la fuga generalizzata di quelli che fino a ieri stavano con lui. Ha letto l’addio di Velardi, uno dei suoi fedelissimi fino a ieri? «Guardo su Facebook la tua rassegna stampa. Ascolto sempre le stesse parole, espressioni, esempi, calembour. Risento per la millesima volta che le colpe delle cose che non vanno sono dei governi precedenti il tuo, che invece su altri piani “adesso si vedono i risultati del nostro lavoro” (con l’aggiunta di rito del “ma non basta”), mi infastidisco per quell’insopportabile intercalare anni ’80 del “ragazzi”, per il sindaco di turno da blandire come tutti “i sindaci che combattono bla bla”, e poi sto cazzo di bonus giovani, e l’umano dramma della ciclista, e altre dieci banalità. E, in conclusione, l’inascoltabile sermoncino conclusivo, un classico del renzismo depresso: “Però basta parlare del Pd come ne parlano i giornali, io voglio invece parlare di lavoro, di casa, mamme, giovani, etc…”. Il tutto dopo averci propinato per mezz’ora le minchiate dei giornali. Matteo, non ti si può più ascoltare». È il rischio degli aspiranti dittatori: il popolo concede loro quasi tutto quello che vogliono. Tranne la malinconia.