Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  luglio 08 Sabato calendario

Intervista a Joe Bastianich: «Nessun piatto darà mai le emozioni di Mozart o Battisti»

«La cucina? Mi ha stancato». Dei masterchef stellati protagonisti dal talent culinario di Sky, Joe Bastianich, 48 anni, l’americano con radici italiane e il pessimo carattere (piatti gettati, concorrenti insultati) è in realtà il solo che chef non è. È piuttosto un «figlio d’arte»: la cuoca è mamma Lidia, nata a Pola nel 1947, quando l’Istria era ancora Italia. E solo dopo tentennamenti vari ha intrapreso l’attività di famiglia ma dal versante imprenditoriale. Insomma lui, semmai, è quello che i cuochi li sceglie. Lanciato dalla versione americana della gara per cuochi amatoriali, è sbarcato in Italia. Da dove pare non avere più intenzione di spostarsi, se non per brevi trasferte.
Anche perché da quando è qui i suoi talenti si sono moltiplicati. Ristoranti: tanti, vari ed eventuali, da noi e in America. E tv. Ma non solo: scrittore, vignaiolo, musicista. Appassionato di auto e moto: ha partecipato all’ultima Mille Miglia, anche se con poca fortuna visto che la sua auto, una Healey 2400 Silverstone del 1950, lo ha lasciato a piedi a metà gara, ed è stato con Guido Meda e Davide Valsecchi nella versione made in Italy del format supercar Top Gear (recentemente in onda su SkyUno HD la puntata extra, in ogni senso, con ospite Andrea Boccelli). E ora anche il teatro: fino al 24 luglio si esibisce al lunedì (un lunedì musicale che riecheggia quasi i martedì jazzistici di Allen) in uno show musical-alcolico-affabulatorio, «Vino Veritas» ospitato in una raccolta saletta del Teatro Franco Parenti di Milano: parole e canzoni, sorseggiando – lui e il pubblico – i vini delle sue cantine friulane. Il 16 luglio, ore 21, in trasferta a Barolo, per Collisioni.
Una bella idea di marketing «Vino Veritas».
«Ma quale marketing: il mio vino è già tutto venduto. Semmai il piacere di abbinare le due cose che amo di più, il vino e la musica. Un’idea che mi ha fulminato all’improvviso, bere e suonare insieme. Il vino serve a rompere il ghiaccio e rende più facile aprirmi al pubblico. Bere uno dei miei vini, poi, è già conoscermi un po’».
Com’è che si ha l’impressione che faccia di tutto per stare lontano da ristoranti e cuochi?
«Dopo 30 anni mi sono stufato. Ho la fortuna di potermi dedicare alle cose che amo maggiormente, più personali. Non che non mi interessi la ristorazione: è il mio mondo e mi ha sempre coinvolto. Ma a questo punto vorrei dedicarmi ad altre cose che mi appassionano a 360°».
Come la musica?
«Nelle mie canzoni racconto la mia vita. Sono una specie di pulizia emozionale. Un detersivo dello spirito e un antidoto (molto più economico) allo psicanalista».
E tra un brano e l’altro racconta pezzi della sua vita.
«E infatti sono molto emozionato, nervoso. Mi metto a nudo e dico cose di me che non avrei mai pensato di raccontare. Non l’ho mai fatto, forse non lo farò mai più. Ma visto come sta andando (concerti tutti sold out, ndr), sto cominciando ad accarezzare l’idea di fare un po’ di serate “itineranti”».
In tutto questo, dove mette le auto e la velocità?
«È solo un hobby. Amo le auto d’epoca. E Top Gear è stato un bell’intermezzo, divertente, che purtroppo non avrà un seguito a causa dei costi troppo alti. La musica invece è arte, è emozione e racconto».
A proposito di arte, «La Stampa» ha pubblicato un intervento del critico Francesco Bonami che affermava – in modo certamente molto provocatorio – che certa arte contemporanea è stata sostituita dalla culinaria e dagli chef stellati. Che sono ormai i cuochi veri sperimentatori e non gli artisti. È arrivato a definire l’Osteria Francescana di Massimo Bottura come il nuovo MoMa.
«Balle. Anche se lo chiedi a Massimo Bottura ti dice di no, che la sua cucina è solo il frutto di un suo percorso personale per fare cibo bello e buono. Non montiamoci la testa. Non diciamo sciocchezze (usa un termine più colorito e tranchant, in realtà, ndr). Che è mai la nuova cucina se non la reinvenzione di ciò che c’era già?».
Non si può negare però che il cibo sia parte della storia dell’umanità, una componente importante della cultura umana.
«Quale piatto mai darà le emozioni di un Mozart o di un Beethoven? Di una canzone di Battisti o di un quadro di Cezanne? Il cibo è parte di noi ma solo perché ci permette di andare avanti. Per il resto è solo una moda. Viviamo una fase un po’ esaltata. Domani ci saranno nuovi protagonisti: chessò artigiani, cacciatori e pescatori».
E il vino?
«È cosa eterna, più grande di noi: l’uomo “partecipa” ma non lo controlla. Perché è soggetto alla natura. Una vita non basta per entrare nel ciclo del vino, che è transgenerazionale. Capisco quanto poco sia importante il mio intervento quando mi confronto con il ciclo della vigna».
Vigne in Friuli e Toscana, in Argentina. E ora anche in Piemonte, a La Morra.
«Le cantine Brandini, sì, socio del mio amico Oscar Farinetti. Il barolo è il re dei vini e il vitigno nebbiolo, autoctono, tra i più importanti al mondo».
Siete ormai a buon punto con le registrazioni di «Masterchef 7»: la prima volta senza Carlo Cracco.
«La prima con uno chef donna, Antonia Klugmann. Sta dando al programma una prospettiva che prima non avevamo: la sensibilità femminile sul cibo».
Ma la cucina non è cosa da uomini?
«Sbagliato! In Italia e in tutto il mondo sono le donne ad avere tramandato le tradizioni alimentari. Io lo so, ne sono convinto. Sono stato cresciuto dalle donne (anche in cucina) e credo nel loro potere».