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 2017  luglio 08 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL G20 DI AMBURGOREPUBBLICA.ITAMBURGO - No a sanzioni per i trafficanti di esseri umani

APPUNTI PER GAZZETTA - IL G20 DI AMBURGO

REPUBBLICA.IT
AMBURGO - No a sanzioni per i trafficanti di esseri umani. "Presa d’atto" dell’uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi su clima, che però vengono definiti "irreversibili" e dunque non soggetti ad alcuna rinegoziazione. Seconda giornata dei lavori del G20: nel comunicato finale non saranno previste, a causa delle opposizioni di Russia e Cina, sanzioni contro i trafficanti di esseri umani, come invece richiesto ieri dalle istituzioni europee. "Una grande occasione persa - scrive l’Osservatore Romano - un aspetto di centrale importanza in relazione all’emergenza immigrazione". "Un G20 realistico", ha commentato il premier Paolo Gentiloni. Scoppia una polemica, intanto, quando Ivanka Trump ’sostituisce’ il padre (allontanatosi per un bilaterale con il presidente indonesiano) al tavolo dei leader.

Gentiloni: "Insufficiente collaborazione sui migranti". "L’Italia è dalla parte della ragione" a prescindere dai "passi avanti, del tutto insufficienti", ha dichiarato il premier Paolo Gentiloni. "Non mi aspetto conversioni improvvise" da parte di vicini e alleati ma "l’attenzione di tutti sul fatto che l’Italia sta facendo uno sforzo importantissimo, che rivendico a testa alta sul terreno del salvataggio e dell’accoglienza. Ma contemporaneamente i nostri vicini sanno che questo sforzo non può essere illimitato e fatto solo da noi".

Migranti: "Stati hanno diritto a tutelare confini". "Sottolineiamo il diritto sovrano degli Stati di gestire e controllare i loro confini e stabilire politiche" nell’interesse della sicurezza nazionale. Lo si legge nell’ultima versione del documento finale del G20, nella parte dedicata all’immigrazione che invita però anche a mettere in campo "sforzi globali e azioni coordinate". "Un compromesso onorevole", ha detto Paolo Gentiloni. "La questione migratoria - ha aggiunto - è stata affrontata da un punto di vista di collegamento con i temi dell’africa. È un tema sul quale c’è stato certamente un dibattito. Alla fine è stato positivamente accettato un linguaggio tipico da nazioni unite", ha concluso, ricordando che "stiamo parlando di tema migratorio a livello globale".

"Accordo su clima irreversibile". I leader del G20, invece, hanno trovato una soluzione sui cambiamenti climatici. L’accordo di Parigi sul clima è "irreversibile", parola, questa, inserita all’ultimo momento che ha sbloccato la trattativa sul testo, ma ha anche permesso a Donald Trump di inserire un riferimento ai combustibili fossili, accusati di contribuire al surriscaldamento del pianeta. Gli americani (che intendono continuare ad esportarli e a promuoverne l’uso), "si impegneranno a lavorare a stretto contatto con altri Paesi per aiutarli ad accedere e utilizzare i combustibili fossili in modo più pulito ed efficiente".

"Per quanto riguarda la questione climatica - ha commentato il premier italiano Paolo Gentiloni - c’è stata la conferma dell’attuazione degli accordi di Parigi e la distinzione degli Usa". "Sul clima - ha fatto sapere la cancelliera Angela Merkel - ci siamo resi conto che dove non c’è un consenso bisogna esprimere il dissenso nel comunicato. Sappiamo che gli Usa hanno detto che vogliono uscire dall’accordo sul clima, ma io sono lieta di dire che tutti gli altri sono concordi sul fatto che non si possa tornare indietro". "Un compromesso ottimale", ha affermato il presidente russo, Vladimir Putin.

Clima, Trump ottiene una concessione. L’amministrazione Trump ottiene una concessione. Il testo consente agli Stati Uniti di "cooperare strettamente con altri partner per facilitare il loro accesso e il loro utilizzo più pulito ed efficace delle energie fossili, aiutandoli a sviluppare quelle rinnovabili e altre fonti di energia pulita". Un paragrafo che instaura di fatto una situazione inedita per il G20, giacché convalida il fatto che uno dei suoi membri possa seguire una politica individuale che va contro quella degli altri diciannove.

"Accordo di compromesso su libero commercio". Il G20 si è accordato su un compromesso sul libero commercio. I Paesi si sono riconosciuti sul libero commercio e contro il protezionismo. Ma viene riconosciuto anche il ruolo legittimo di strumenti di difesa nazionali. Nel comunicato si riconosce il commercio aperto come motore della crescita, della produttività, dell’innovazione e della creazione di posti di lavoro: "Manterremo i mercati aperti e il riconoscimento del significato del commercio come vantaggio reciproco".

"Il G20 - ha detto Gentiloni - si pronuncia contro il protezionismo e i comportamenti scorretti nel commercio, anche se forse rispetto al documento di Taormina c’è qualche concessione in più per quanto riguarda le misure difensive adottate da singoli Stati".  "Sono soddisfatta", il compromesso sul commercio aiuterà ad assicurare che i mercati rimangano aperti’ ha sottolineato la cancelliera Angela Merkel.

Fermati 15 italiani, tra cui l’europarlamentare Forenza. Quindici italiani sono stati fermati dalla polizia, tra cui l’eoroparlamentare di Sinistra europea Eleonora Forenza. È la stessa eurodeputata a darne notizia su Facebook. "Sono stata fermata dalla polizia di Amburgo insieme ad altri compagni, perquisita e documenti sequestrati, compreso il mio tesserimo da parlamentare. Siamo ancora trattenuti". "Motivazione: siamo italiani - aggiunge - Ormai siamo ad un punto in cui vestirsi di scuro rappresenta una sorta di reato".

L’europarlamentare italiana aderisce in questi giorni alle iniziative di protesta contro il G20 in corso ad Amburgo. Ieri aveva postato su Facebook le immagini di un corteo con l’hashtag #stopg20, commentando le foto con la scritta "blocchiamo i flussi del capitale". "Vado per manifestare contro il vertice - aveva detto nei giorni scorsi - insieme a tante compagne e compagni da tutto il mondo e per vigilare da parlamentare europea contro il dispositivo globale di repressione del dissenso, già in atto in questi giorni ad Amburgo". G20, la prima stretta di mano tra Vladimir Putin e Donald Trump Condividi  
Putin: "Con Trump miglioreranno relazioni con Usa". Il G20 è stata l’occasione della prima strettta di mano avvenuta venerdì tra Putin e Trump. Il leader russo si è sbilanciato a favore del presidente Usa dicendo che "’il Tycoon visto in tv è diverso da quello reale". "I rapporti con Trump - ha annunciato Putin - aiuteranno a ripristinare i legami tra Russia e Usa". G20, vetrine distrutte e macerie in strada: Amburgo devastata dai black bloc Condividi   Bilancio ordine pubblico: 203 arresti, 213 poliziotti feriti. Sul versante ordine pubblico, l’ultimo bilancio degli scontri andati avanti anche nella notte tra venerdì e sabato parla di 213 i poliziotti feriti e di moltissimi danni alla città provocati da veri e propri momenti di guerriglia urbana tra manifestanti e polizia. Dall’inizio delle proteste, lo scorso 22 giugno, sono 203 le persone arrestate, ha reso noto un portavoce della polizia.

IVANKA SOSTITUISCE DONALD
AMBURGO - Ivanka Trump ha rappresentato gli Stati Uniti al tavolo dei leader del G20 riuniti ad Amburgo. La first daughter americana ha sostituito per alcuni minuti il padre che si era allontanato dalla riunione per un bilaterale con il presidente indonesiano. Solitamente in queste situazioni i leader vengono sostituiti da ministri o alti funzionari. La scelta invece di far sedere la figlia al tavolo del vertice appare senza precedenti per quanto Ivanka abbia un ruolo ufficiale di consigliere della Casa Bianca.

La notizia è stata diffusa da un membro della delegazione russa che ha pubblicato una foto su twitter con Ivanka che partecipa alla riunione, mentre si discuteva di migranti provenienti dall’Africa e Sanità. Pochi minuti dopo Trump ha ripreso il suo posto tra la premier britannica, Theresa May, e il presidente cinese, Xi Jinping.

Il fuori programma al tavolo dei grandi non è stato l’unico momento in cui la figlia prediletta di Trump - che solo qualche giorno fa in un’intervista ha affermato di voler rimanere fuori dalla politica - è stata sotto i riflettori del G20. Al fianco del padre ha partecipato ad un evento per lanciare un’iniziativa per le donne imprenditrici e nella finanza. "Sono molto orgoglioso di mia figlia, Ivanka, lo sono sempre stato, dal primo giorno", ha detto il presidente americano lodando la figlia durante l’evento a cui hanno partecipato anche Angela Merkel e Christina Lagarde, direttore del Fmi. Con loro Ivanka aveva già partecipato, lo scorso aprile a Berlino, ad un incontro, sempre nell’ambito dell’agenda del G20, sulle donne. Allora aveva difeso il padre come "uno straordinario difensore delle famiglie" americane.

Ed oggi Donald ha ricambiato il favore esaltando le capacità imprenditoriali della figlia: "Se non fosse mia figlia, sarebbe tutto più facile per lei", ha detto affermando che "la verità" è che essere sua figlia è per Ivanka uno svantaggio.

Merkel: "È una prassi". È una prassi normale che consiglieri ’sostituiscano’ leader durante i summit quando questi si devono assentare per qualche minuto dal tavolo della discussione. Così Angela Merkel ha cercato di disinnescare le polemiche che dai social media stanno passando sulla stampa tradizionale per il fatto che Donald Trump si sia fatto sostituire dalla figlia Ivanka - first daughter ma anche consigliere della Casa Bianca - durante la riunione dei leader del G20 questa mattina, mentre si allontanava per un bilaterale con il presidente indonesiano. "Non è una cosa inusuale" ha detto la cancelliera tedesca che oggi è apparsa al fianco della first daughter americana anche per il lancio del fondo della Banca Mondiale per le donne imprenditrici al quale Donald Trump si è impegnato a versare 50 milioni di dollari.

La Banca Mondiale ha chiesto alla comunità internazionale un miliardo di dollari per la Women Entrepreneurs Finance Initiative, iniziativa sostenuta da Ivanka Trump per fornire prestiti ed assistenza a piccole imprese guidate da donne in tutto il mondo.

PAOLO VALENTINO SUL CORRIERE DELLA SERA DI STAMATTINA

Che avessero voglia di un faccia a faccia, per annusarsi, sentirsi, studiarsi da vicino, mettere a confronto i propri ego, lo si è capito dal mattino, all’inizio della sessione plenaria del G20. Alla prima stretta di mano, Donald Trump ha contemporaneamente battuto la sinistra per ben tre volte sull’avambraccio di Vladimir Putin, quasi a dire «finalmente». Il presidente russo ha accettato sorridendo il saluto insolitamente caloroso, offrendo la destra e puntando poi Trump con l’indice dell’altra mano, in un gesto molto americano, da «I want you» alla Zio Sam.

Qualche ora dopo, nell’incontro bilaterale più atteso del vertice di Amburgo, seduti su poltrone bianche e con ai lati i due ministri degli Esteri a fare da angeli custodi, si sono scambiati un paio di gentilezze. «Sono onorato di incontrarla. Mi aspetto che accadano un sacco di cose positive per gli Stati Uniti e per la Russia», ha detto Trump tendendo di nuovo la mano a Putin. «Sono felice di conoscerla — gli ha risposto il leader del Cremlino —, abbiamo parlato più volte al telefono, ma non è mai abbastanza. Se si vogliono risolvere le questioni di politica internazionale occorrono incontri personali. Spero che questo porti a risultati positivi».

Se la chimica dei caratteri, l’empatia tra i due maschi alfa era uno dei criteri con cui giudicarlo, il «vertice dentro il vertice» tra Trump e Putin è stato un buon inizio. Non solo. Se i tempi, merce rara in un summit affollato come il G20, suggeriscono qualcosa, le oltre due ore trascorse insieme, in luogo dei 35 minuti messi in agenda dal protocollo americano, raccontano una discussione approfondita e densa di contenuti: per farli smettere, c’è voluto l’intervento personale di Melania Trump, che non voleva far tardi al concerto alla Elbphilarmonie, straordinaria icona della città anseatica, con la IX di Beethoven diretta da Kent Nagano.

Certo il cessate il fuoco concordato nell’area sud-occidentale della Siria dovrà essere definito nei dettagli e verificato alla prova del campo, prima di estenderlo al resto del Paese. Ma suona conferma, lo ha notato il segretario di Stato Rex Tillerson, del fatto che Stati Uniti e Russia possono cooperare per disinnescare la più grave delle crisi regionali.

Non è stata in ogni caso una discussione priva di tensioni. Trump ha subito sollevato il tema delle interferenze russe nella campagna presidenziale americana e presentato a Putin le preoccupazioni di Washington. Il leader del Cremlino ha negato ogni addebito. Certo le letture ex post fornite dai ministri differiscono un po’. Tillerson ha detto che Washington si aspetta un impegno da parte di Mosca a non interferire in futuro negli affari americani. Secondo il capo della diplomazia russa, Sergei Lavrov, Trump invece ha accettato la posizione di Putin. Ma su un punto l’intesa è apparsa piena: la questione è diventata un ostacolo per il miglioramento dei rapporti bilaterali e i due leader sembrano determinati a impedirlo.

La cautela è d’obbligo. Solo 24 ore prima, a Varsavia, il leader americano aveva lanciato parole di fuoco all’indirizzo della Russia, accusandola di «comportamenti destabilizzanti». Anche facendo la tara a un discorso tagliato su misura per la «sensibilità» polacca, il problema dell’imprevedibilità e della cifra ondivaga che è propria di Trump rimane. Inoltre bisognerà vedere in che modo questo abbozzo di dialogo con Mosca verrà accolto a Washington, dove non basterà certo lo scambio di Amburgo sulle interferenze, sia pur «robusto e approfondito» come ha detto Tillerson, a spegnere la miccia del Russiagate, che minaccia l’Amministrazione.

Per Putin, il bilancio resta comunque positivo. Come ci ha confermato Fyodor Lukyanov, esperto di politica estera addentro alle cose del Cremlino, «non c’era stata alcuna vera preparazione, né era stata predisposta alcuna agenda strutturata» per l’incontro tra Putin e Trump. Né Mosca si aspettava alcun risultato tangibile: il vero obiettivo del presidente russo era di capire se «si potesse arrivare a risultati concreti con questo presidente americano, ovvero se Trump non vuole o non può prendere alcun impegno». L’annuncio sulla Siria va quindi oltre le attese russe.

Di più, il leader del Cremlino incassa da Trump proprio sull’Elba, dove una volta passava una delle frontiere della Guerra fredda, quella «uvazhenie», il rispetto e la considerazione sulla scena internazionale, che egli rivendica per la Russia come attore globale. Che poi tutto ciò si riveli impalpabile ed effimero, in tema con l’imponderabilità di Donald Trump, è possibile. Ma ieri, ad Amburgo, l’Inno alla Gioia ha espresso piuttosto lo stato d’animo di Vladimir Putin.


VALENTINO SULL’ACCORDO

AMBURGO Donald Trump e Vladimir Putin hanno raggiunto un accordo per un cessate il fuoco nella regione sud-occidentale della Siria, che dovrebbe entrare in vigore da domani a mezzogiorno, ora locale.

Anticipata dall’ Associated Press mentre era ancora in corso l’incontro tra i due leader, in margine al G20 di Amburgo, la notizia è stata confermata ieri sera sia dal segretario di Stato americano, Rex Tillerson, che dal suo omologo russo, Sergei Lavrov, il quale ha definito «costruttiva» l’atmosfera dei colloqui tra Putin e Trump.

Non ci sono dettagli del piano, ma secondo fonti americane anche Giordania e Israele sono coinvolte nella sua esecuzione, che comunque non ha alcuna connessione con le cosiddette «zone di de-escalation» che avrebbero dovuto essere create in base a un precedente accordo messo a punto da Russia, Turchia e Iran, di cui gli Usa non erano parte.

Il nuovo cessate il fuoco non ha durata ed è parte di una più ampia trattativa tra Mosca e Washington, che proseguirà nelle prossime settimane, tesa a ridurre il livello di violenza. Secondo Tillerson, Trump e Putin sperano di estendere presto la tregua al resto del Paese. «È la prima indicazione — ha commentato il segretario di Stato — che gli Stati Uniti e la Russia sono in grado di lavorare insieme in Siria».

Inizialmente programmato per poco più di mezz’ora, il «vertice nel vertice» tra Putin e Trump è durato 2 ore e 16 minuti, facendo ritardare l’incontro previsto del presidente russo con Shinzo Abe. Putin si è poi scusato del ritardo con il premier giapponese anche a nome di Trump, spiegando che la conversazione con il leader americano era stata «molto lunga» e aveva toccato tante questioni: «Ucraina, Siria, lotta al terrorismo e alla criminalità informatica».

Parlando con la stampa, Tillerson ha anche rivelato che Trump ha sollevato in modo «robusto e approfondito» con Putin il tema della presunta ingerenza russa nelle elezioni presidenziali americane del 2016 e che il leader del Cremlino ha negato ogni coinvolgimento. Tillerson ha aggiunto che i due presidenti si sono detti d’accordo a proseguire la discussione, con l’obiettivo di assicurare l’impegno reciproco a non interferire in futuro nei rispettivi affari interni.

Gli ha fatto eco Sergei Lavrov, secondo il quale «il presidente Trump ha ascoltato le dichiarazioni di Vladimir Putin», che ha negato ogni intromissione nelle elezioni Usa, e «ha accettato questa sua posizione». Inoltre, sempre secondo il capo della diplomazia russa, Trump «ha sottolineato come questa campagna abbia assunto un carattere strano perché in tutti questi mesi non sono state fornite prove dell’intromissione della Russia».


VIVIANA MAZZA STAMATTINA SUL CORRIERE

Il cessate il fuoco nella Siria sud-occidentale annunciato da Trump e Putin è «un buon accordo, sempre che sia serio», dice al Corriere il filosofo politico Michael Walzer, autore di «Guerre giuste e ingiuste» (Laterza), parlando dall’Università di Princeton subito dopo l’incontro tra i presidenti americano e russo al G20. «Le precedenti tregue non sono state prese sul serio dal governo siriano e dai suoi protettori». «Quel che è interessante stavolta — nota Walzer — è l’inclusione della Giordania e di Israele. Se la Russia riconosce questi due attori, vorrà dire che gli Stati Uniti riconoscono l’Iran e il Libano (Hezbollah)? Israele è stato escluso da tutte le precedenti conferenze. I russi si sono girati dall’altra parte quando le bombe israeliane hanno colpito Hezbollah in Siria, ma sembrava un approccio informale. Formalizzare le cose è un passo avanti, perciò questo è un buon accordo, sempre che sia serio».

Si aspetta presto un’intesa più ampia sulla Siria? Trump avrebbe ribadito che non vede un ruolo per Assad. Ma la tregua annunciata ieri non mette in discussione il regime.

«Non penso che un accordo sulla Siria stia per arrivare. È ormai acclarato che la Siria è nella sfera di influenza russa: nessun governo americano contesterebbe oggi quest’idea. Vorremmo che ci fossero zone sicure per i nostri amici: per esempio, un pezzo di Siria nel nord gestito dai curdi sotto protezione Usa. Ma dubito che i russi siano d’accordo, e i turchi di sicuro non lo sono».

L’amministrazione Usa afferma che Trump ha fatto pressioni su Putin a proposito delle interferenze russe nelle elezioni, ma poiché Putin ha negato hanno preferito parlare del futuro. Cosa ne pensa?

«I media studiano al microscopio ogni gesto in questo incontro perché tutti hanno il sospetto che Trump sia in debito con Putin e cercano indizi per capire se è vero. Io sospetto che la priorità di Trump fosse di dimostrare che non è in debito con Putin, che non è una pedina nelle mani dei russi e di mettere da parte la storia dell’hackeraggio russo. Ma la questione delle interferenze russe nella nostra politica è qualcosa che tuttora non capiamo».

Gli Usa hanno nominato «un rappresentante speciale» per la crisi in Ucraina. Una soluzione è più vicina?

«È difficile dire quando la politica estera americana sia determinata da Trump e quando dai generali Mattis, McMaster e forse dal segretario di Stato Tillerson. In passato Trump ha dato l’impressione di essere pronto a fare un accordo, anche a spese dell’Ucraina e dei siriani. Ma ha scelto persone con una visione diversa. La politica del Pentagono sembra una continuazione o un rafforzamento di quella obamiana, così le sanzioni continuano. Nessuno si aspetta che Mosca restituisca la Crimea. Un futuro accordo riguarderà l’Ucraina orientale: penso che a un certo punto ci si arriverà. Ma resta sempre la domanda: quanto durerà l’attenzione di Trump?».


DANILO TAINO

DAL NOSTRO INVIATO

AMBURGO Angela Merkel chiede un «compromesso» al G20. Che poi significa chiederlo a Donald Trump, l’eccentrico del Gruppo. Un summit che finisse con una spaccatura non sarebbe un successo per la cancelliera, che è la padrona di casa e coordina i lavori (da mesi). Quindi, Merkel dice che nella prima delle due giornate di lavoro del vertice si sono evidenziate differenze su temi come i cambiamenti climatici e il commercio che «devono essere rese chiare», ma non va a cercare, come qualcuno pensava, di isolare fino in fondo il presidente americano. Ieri, i Venti hanno discusso di parecchie cose a porte chiuse. L’accordo di Parigi sul clima, dal quale Washington si è ritirata, è stato un elemento di contesa. Prima di uscire dalla riunione collegiale per incontrare Vladimir Putin, Trump è intervenuto sul tema. Sarebbe sembrato non contrario a un compromesso che potrebbe trovare una formulazione nel comunicato finale: nei termini di dire che il G20 «si impegna a ridurre le emissioni attraverso l’innovazione mentre sostiene la crescita economica e i bisogni energetici» (come da una prima bozza in discussione). Qualcuno, ottimista, ritiene che Trump potrebbe ritornare nel trattato di Parigi. Altri pensano che potrebbe chiedere di ridiscuterlo. Sul commercio, Trump ha continuato a sostenere che gli scambi internazionali devono sì essere liberi ma anche giusti (laddove la differenza tra liberi e giusti è una dose di protezionismo che mette in quest’ultima definizione). Ieri, c’era il timore che Washington volesse togliere dalla dichiarazione finale del vertice la necessità di combattere il protezionismo. A questo proposito, Paolo Gentiloni ha detto che misure protezioniste possono creare «contagio» e ridurre la crescita. Sia sul clima che sul commercio, la cancelliera ha spiegato in serata che c’è ancora da lavorare molto, prima di arrivare a un comunicato finale soddisfacente.

D. Ta.

TONIA MASTROBUONI SU REPUBBLICA
Tutti si aspettavano il match dei macho, e invece dopo una stretta di mano quasi gentile in mondovisione, le due ore e un quarto di faccia a faccia tra Donald Trump e Vladimir Putin hanno sorpreso molti. I due si sono detti «onorati» (Trump) e «felici » (Putin) del loro primissimo incontro e hanno persino raggiunto qualche intesa. Anzitutto, un cessate il fuoco nella Siria sud-occidentale, che scatterà a partire da mezzogiorno di oggi. Tuttavia, stando al segretario di Stato americano Rex Tillerson, l’unico presente all’incontro insieme al suo omologo russo Sergei Lavrov e ai due interpreti, la tregua potrebbe essere replicata altrove nel Paese. L’intesa raggiunta ieri va interpretata come un «primo indizio », come ha sottolineato Tillerson, che Mosca e Washington «possono lavorare assieme sulla Siria». Certo, la de-escalazione è ora alla prova dei fatti e già l’anno scorso, sotto la presidenza Obama, un’intesa del genere fallì dopo poco la stretta di mano con Mosca. Ma forse l’accordo di ieri è un nuovo inizio, al netto dell’umoralità degli americani e dell’imprevedibilità dei russi. E non può non inquietare l’Europa. La Siria non è l’unica sorpresa di un faccia a faccia durato ben oltre le aspettative. Dopo un’ora, all’incontro si sarebbe affacciata persino Melania, ricordando al marito il concerto previsto in serata alla Elbphilarmonie. I due, però, avrebbero continuato a parlare per un’altra ora, incuranti degli impegni musicali. L’incontro si è concentrato quasi integralmente sul conflitto siriano, ma non poteva non toccare anche l’argomento che sta occupando le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Dopo il dimostrativo lancio del missile intercontinentale da parte della Corea del Nord, gli Usa cercano di mettere sotto pressione Kim, ma il tentativo di coinvolgere Putin in un’azione di accerchiamento del dittatore nordcoreano per costringerlo a ridimensionare il programma nucleare è fallito. Washington spera ancora di incassare l’appoggio della Cina, sullo spinoso dossier che preoccupa anche il Giappone. Trump non ha neanche aggirato, secondo quanto riferito dal ministro degli Esteri russo Lavrov, il tema delle presunte interferenze dei russi nelle elezioni americane. Avrebbe chiesto conto a Putin delle incursioni nel voto che avrebbero fatto vincere Trump, ma il presidente russo avrebbe negato. «Il presidente Trump ha detto di aver sentito le dichiarazioni di Putin sul fatto che il Cremlino non si è intromesso nelle elezioni Usa e accetta questa sua posizione», ha riportato Lavrov. Tillerson ha riferito lo stesso passaggio, ma con qualche sfumatura diversa. Il presidente americano, ha precisato il responsabile del Tesoro, «ha esordito esprimendo la preoccupazione del popolo americano sulle interferenze nelle elezioni del 2016». Su questo lo avrebbe «pressato più di una volta». Purtroppo, una frase di Lavrov getta qualche ombra su questa versione di un Trump molto imbronciato: avrebbe concesso che «certi ambienti americani stanno esagerando, pur non potendola provare, con questa storia delle interferenze russe nel voto americano». In un discorso a Varsavia alla vigilia del G20, Trump aveva parlato di comportamento «destabilizzante » di Mosca e aveva già esplicitato le sue critiche sulle interferenze russe nel voto, pur attribuendo qualche forzatura ai propri servizi segreti. Oggi, peraltro, è previsto proprio sul dossier ucraino un vertice a margine del G20 tra Angela Merkel, Emmanuel Macron e Putin.

RAMPINI SU REP
ALLA FINE Donald Trump e Vladimir Putin offrono un briciolo di speranza al mondo intero: è un accordo per garantire una tregua limitata, nel Sud-Ovest della Siria, con possibilità di estenderla. Unico risultato concreto dal “match dell’anno”, l’incontro bilaterale più atteso, capace quasi di offuscare l’intero G20. Doveva durare mezz’ora, si è prolungato su tempi infiniti per due capi di Stato: due ore e un quarto. È iniziato con una foto che la dice lunga sulla recita che ciascun personaggio riserva alla propria platea nazionale. È il momento d’esordio del loro summit, decine di fotografi scattano a ripetizione, i siti del mondo intero riproducono istantaneamente le loro posture. Quasi gemelle. Gambe larghe, schiena dritta, petto in avanti. Due alfa-maschi, due capi- branco, gli mancano solo le corna dei cervi che stanno per lanciarsi nello scontro. Uno esibisce nella camicia sempre troppo stretta i muscoli pettorali del judoka, l’altro la capigliatura- ariete che pochi giorni prima furoreggiava in un finto combattimento di wrestling contro un pupazzo-Cnn. In campagna elettorale (americana) alcuni esperti di comunicazione invitavano a seguire i duelli televisivi spegnendo l’audio: nel linguaggio corporeo, sia contro i rivali repubblicani sia contro Hillary, Trump si muoveva in modo da emanare l’impressione di un dominio fisico, di una superiorità nel possesso dello spazio. Tra i due “macho” al G20 di Amburgo invece la postura diceva pareggio, finto duello rituale, rinuncia al combattimento vero, spartizione equa dello spazio scenico. Trump twittava in anticipo, a incontro non ancora iniziato, dicendosi «onorato» e sicuro che «accadranno tante cose positive tra Stati Uniti e Russia». Confermato dal segretario di Stato Rex Tillerson che alla fine ha parlato di «alchimia positiva», «connessione immediata » e altre piacevolezze. Più abile, il suo collega ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha attribuito al proprio campione una mezza vittoria: «Trump – dice la versione russa – ha accettato la posizione di Putin sul fatto che il Cremlino non si è intromesso nella campagna elettorale americana». Perché questo, ovviamente, era il vero elefante nella stanza.
match dell’anno era stato preceduto da attese spasmodiche, timori enormi, sospetti e diffidenze e dietrologie a non finire. Riassumendo: mezza America che non lo ha votato, è convinta che Trump si trova alla Casa Bianca perché Putin ha manovrato spionaggio, fake- news e calunnie per danneggiare Hillary. Fbi e Cia hanno fornito materiale che sembra avvalorare quella tesi. Un super- procuratore nominato dallo stesso Dipartimento di Giustizia di Trump, Robert Mueller, sta indagando su questo Russiagate e chissà cos’altro potrebbe venir fuori sui numerosi intrallazzi tra gli uomini del presidente e Mosca. Per tentare di fugare almeno i sospetti più infamanti Trump avrebbe dovuto esprimere vibrate proteste per le incursioni degli hacker russi. Ammesso che a porte chiuse lo abbia fatto, quell’altro lo ha sommerso di smentite. Alla fine resta il verdetto pilatesco, e abbastanza codardo, di Tillerson secondo cui la vicenda delle ingerenze «resterà inestricabile ». Mettiamoci una pietra sopra, insomma. Ben diverso il linguaggio che Trump aveva tenuto alla vigilia. Parlava a Varsavia, a un’audience storicamente prevenuta contro l’espansionismo russo. Aveva accusato Putin di comportamenti «destabilizzanti, dall’Ucraina alla Siria». L’indomani, ad Amburgo: cordialità, ottimismo, pacca sulla spalla. Trump il camaleonte, l’improvvisatore, l’opportunista, lo showman che fiuta d’istinto l’audience che ha di fronte. Trump che torna alla casella di partenza: durante l’intera campagna elettorale ebbe un vero idillio a distanza con Putin, il quale contraccambiava con elogi e complimenti. Attrazione fatale di un Uomo Forte verso un suo simile; Putin inoltre ha sempre rispettato chi ha tanti soldi. Ora si tratta di vedere se Mosca farà regali concreti. La Siria è un test micidiale. Un’analoga tregua concordata fra Putin e Obama fallì quasi subito. Nei timori della vigilia, molti esperti americani paventavano un duo di «dilettanti allo sbaraglio», Trump e Tillerson, contro due vecchie volpi come Putin-Lavrov. Può darsi che a Putin faccia comodo inaugurare un disgelo; e che Trump d’istinto lo voglia mettere alla prova. Ucraina, sanzioni, Iran: molti dossier si potrebbero riaprire. Ma lo stesso Trump ordinò 59 missili su Assad, per far vedere di essere più “macho” di Obama. Putin sarà più preparato e più furbo, lui lo batte per imprevedibilità.