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 2017  luglio 07 Venerdì calendario

Intervista al presidente di Sony Italia, Andrea Rosi: «La musica è cambiata: chi non si adegua è antico»

“La prima considerazione da fare è che le nuove generazioni hanno riscoperto la qualità e fondono insieme il vecchio e il nuovo. E poi questa è la dimostrazione che c’è spazio per tutto”. Andrea Rosi, presidente e Ceo di Sony Music Italia, sa che il vinile è una partita ancora tutta da giocare. Qualche giorno fa il colosso della discografia mondiale ha fatto sapere che nel marzo 2018 verrà riaperta, in Giappone, una fabbrica di vinili, perché a distanza di 30 anni dalla cessata produzione (correva l’anno 1989), la vendita dell’antico supporto musicale ha superato i livelli proprio degli anni Ottanta.
Rosi, funziona così anche in Italia?
Il vinile nel nostro Paese rappresenta quasi il 10 per cento del volume del fatturato, e questo proprio grazie alla sua riscoperta da parte delle nuove generazioni. È un fenomeno particolare, perché convive con l’utilizzo della musica via streaming. Le faccio un esempio personale: mio figlio, che ha 18 anni, ha un abbonamento a Spotify, ma in camera sua ha il piatto per i vinili. È un discorso analogo a quello del cd: alla fine dei Novanta, gli analisti lo davano per morto entro cinque anni. Oggi i supporti fisici rappresentano il 60 per cento del fatturato.
Ci sta dicendo che si vendono ancora compact disc?
Gli acquirenti sono soprattutto coloro che ascoltano musica italiana. Ma bisogna fare, anche in questo caso, un distinguo generazionale. Gli adulti sono ancora legati al supporto fisico e lo si capisce dalle vendite dell’ultima parte dell’anno, in particolare sotto Natale: il cd è ancora considerato un ottimo regalo, soprattutto nelle confezioni speciali. I giovanissimi e i giovani, invece, lo usano come ‘firmacopie’: il cd diventa un passepartout per arrivare ad avere un contatto diretto con l’artista. E poi ricordiamoci che i cd costano poco…
Siamo riusciti a far capire alle persone che il lavoro si paga?
La pirateria è un problema superato. Ormai il download sta crollando del 25 per cento ogni anno a favore di una fruizione via streaming. Semmai il problema oggi è far capire ai grandi partner – YouTube, su tutti – che c’è bisogno di una corretta remunerazione della nostra creatività. I contenuti sono gratuiti per gli utenti, ma la pubblicità ripaga i grandi portali, che a loro volta dovrebbero pagare adeguatamente noi.
Ma ci sono così tanti utenti disposti a pagare per lo streaming?
La crescita dei servizi streaming in Italia è molto lontana da quella dei Paesi europei. Mi riferisco, in particolare, alla ‘conversione’: Spotify ha un servizio gratuito pagato dalla pubblicità che serve poi a ‘convertire’ gli utenti in un abbonamento senza pubblicità. La ‘conversione’ dell’Italia è pari a quella della Bolivia. È una questione culturale, bisogna convincersi che in fondo costa solo 20 centesimi al giorno. Ci si arriverà, ma servirà ancora un po’ di tempo.
Alcuni artisti pensano che lo streaming penalizzi la qualità, che il fatto di poter sentire la musica ovunque non si traduca in un buon ascolto.
Ci sono atteggiamenti talebani in questo settore… È ovvio che la fruizione della musica negli anno 70 e 80 era diversa: si acquistava un vinile e lo si ascoltava in casa, era una specie di messa cantata. Il progresso lascia indietro morti e feriti… I ragazzini questa differenza non la sentono.
Anche se non siete direttamente coinvolti, ci dice come arginare il fenomeno del secondary ticketing?
Se avessi la ricetta non sarei qui. La domanda diretta ammette speculazioni: si approfitta del bisogno dei fan. Ma se tutti i fan si mettessero d’accordo ed evitassero di comprare i biglietti a prezzi maggiorati…
Ma gli artisti non possono fare nulla?
Presidiare, lavorare con gli organizzatori, stare più attenti.
Sony ha messo il cappello su X-Factor e Amici. Sia sincero: lei crede nei talent?
A differenza di quanto dicono i detrattori, i talent non sono un punto di arrivo, ma un’opportunità per scoprire nuovi artisti. La domanda da porre a un ragazzo, un anno dopo la vittoria di un talent, non è ‘dove è finito?’, ma ‘sta lavorando?’. Per fare questo lavoro e diventare un artista ci vogliono tempo e impegno.
Le etichette indie sono schiacciate da una major come la sua?
Ci sono tante realtà indipendenti che collaborano con noi, o hanno comunque un ruolo fondamentale per la crescita del mercato: hanno il ruolo di talent scout. Poi, però, se vuoi giocare in Champions League…
Finiamo con una provocazione: quale artista vorrebbe strappare alla concorrenza?
Il prossimo.