Il Sole 24 Ore, 7 luglio 2017
Istituti in crisi: tra Siena e Veneto 9.300 uscite e costi per 2,44 miliardi
Il salvataggio statale del Monte dei Paschi e la liquidazione con cessione a Intesa San Paolo delle due banche venete hanno impresso un’accelerata decisa allo smottamento occupazionale nel settore del credito, e all’impegno pubblico nei processi di ristrutturazione. Un’accelerata misurabile in due numeri: 9.300 uscite aggiuntive e 2,44 miliardi di costi di ristrutturazione. Con un conto brutale, sarebbero 262.365 euro ad addio. Nel caso del Monte, però, va considerato il fatto che 600 uscite sono già state concordate in accordi precedenti, 750 dipendono dal turn over fisiologico e 450 si concentrano in sedi estere, non tutelate dal fondo esuberi. In quest’ottica, quindi, il costo teorico pro capite salirebbe poco sopra quota 325mila euro.
Queste mosse eccezionali si aggiungono a un panorama ordinario in rapido movimento, come descritto nell’articolo sopra, che ha già imposto nell’ultima manovra di bilancio un aiuto pubblico da 648 milioni in cinque anni (174 milioni solo per quest’anno, e 224 per il prossimo) al fondo esuberi, sotto forma di uno sconto dell’85% alla contribuzione bancaria alla Naspi compensata dal sostegno statale. E, visti i chiari di luna, le calcolatrici sono già all’opera per capire se e quanto servirà mettere nuovamente sul piatto con la prossima manovra.
La dinamica non è inaspettata, e già nell’agosto scorso lo stesso ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan aveva spiegato in un’intervista a questo giornale che tra i temi dell’agenda governativa c’era l’esigenza di trovare strumenti per «agevolare i processi di ristrutturazione delle banche, che hanno conseguenze anche sul personale». I 648 milioni messi a disposizione dal comma 235 dell’ultima manovra hanno rappresentato una prima risposta, ma è stata l’escalation di questi mesi fra Veneto e Toscana a mutare drasticamente le grandezza dei problemi da affrontare.
La cessione a Intesa San Paolo delle attività non liquidate di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, con 10mila dipendenti in organico, comporta un’integrazione che secondo i piani funziona con l’uscita dal nuovo gruppo di 3.900 persone, e la chiusura di 612 dei 900 sportelli su cui era articolata la geografia dei due istituti ceduti. Per accompagnare la maxi-operazione, il finanziamento pubblico ha portato in dote 1,29 miliardi per evitare a Intesa di dover sostenere i costi di ristrutturazione: una condizione, questa, posta esplicitamente nel contratto che regola la cessione.
Il Monte dei Paschi, invece, dopo essere salito sulla scialuppa statale dovrà tornare interamente al mercato entro il 2021 alleggerito di 600 delle 2mila filiali attuali, e con 5.500 persone in meno in organico. Il conto, però, comprende anche i 600 dipendenti già usciti a maggio, e i 500 nuovi ingressi previsti da qui al 2021: le uscite da effettuare, quindi, sono 5.400. L’ampia maggioranza di queste passerà attraverso gli esodi incentivati dal fondo di solidarietà, mentre gli altri passeranno dai pensionamenti ordinari. Più complicato il quadro dei 450 dipendenti impegnati nelle attività all’estero che saranno cedute o chiuse: per loro, che non hanno il contratto dei bancari, l’ombrello del fondo di solidarietà non si può aprire. Il costo di ristrutturazione, all’interno dell’operazione da 8,1 miliardi fra burden sharing e ricapitalizzazione precauzionale, è da 1,15 miliardi, spalmati sui cinque anni del piano.
gianni.trovati@ilsole24ore.com