Libero, 7 luglio 2017
Marcello Dell’Utri: «Ancora non ho capito perché sono in galera». La versione integrale dell’intervista nel carcere di Rebibbia
Dopo un mese di richieste e carte bollate, riesco a portare le telecamere di “In Onda” nel carcere di Rebibbia. Mi chiamano e mi comunicano che il detenuto Marcello Dell’Utri ha acconsentito a farsi intervistare.
L’incontro avviene alle 8.30 del mattino, nella sala dei colloqui. Non fatevi illudere dal nome «sala» perché in realtà altro non è che una stanza con le mura scrostate, grate all’unica finestra presente, un tavolo e due sedie. Passano 20 minuti per i controlli di rito: identificazione, controllo dei permessi, piccola perquisizione ecc... Lascio il cellulare e il mio zaino nell’armadietto. Preposto e armato di giornali, carta e penna, salgo nel luogo conordato con la direzione del carcere. Una guardia carceraria mi comunica che il detenuto lo stanno «trasferendo» all’appuntamento. Il carcere è anche questo: un mondo a parte con regole precise, odori e parole. Detenuto, trasferimento, tempo massimo dedicato ecc...
All’età di 75 anni, dopo aver passato una notte all’ospedale Pertini di Roma per un piccolo malore, dopo 15 minuti incontro il senatore Dell’Utri. Lo conosco da tanti anni, spesso, da senatore in attesa di condanna, interveniva alla Zanzara e cazzeggiava con me e Cruciani sulla sua imminente detenzione. Visto oggi, bianco in volto e con le garze ai polsi, dopo aver scontato quasi la metà della pena, viene da chiedersi se un uomo di 75 anni malato e che probabilmente verrà assolto dalla Corte europea di giustizia come avvenne per Bruno Contrada, debba davvero stare ancora ristretto in carcere. Il nostro colloquio dura 40 minuti. Questa, senza omissioni, è la versione integrale della nostra conversazione.
Grazie per aver accettato questo incontro nel carcere di Rebibbia.
«E dove dovevamo farlo secondo lei?!»
Intendevo, grazie per aver autorizzato questa intervista.
«Il DAP (dipartimento amministrazione penitenziaria ndr) l’ha autorizzata!»
Lei è stato condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa e adesso ha altri processi in cui è imputato. Ma non voglio entrare nelle vicende giudiziarie come la sottrazione di 1.500 libri. Sulla sua condanna si è già detto molto.
«Quella sulla sottrazione di libri è sbagliata. Io non ho sottratto libri».
No? L’accusa è questa.
«Sì ma non li ho sottratti io ma una persona che dicono io abbia sponsorizzato per il posto in cui era. Ma è un altro caso e se vuole ne parliamo quando esco».
Il 21 settembre verrà ridiscussa la domanda che avete presentato per uscire dal carcere perché le sue condizioni di salute, come dice anche il medico di Rebibbia, sono incompatibili con la detenzione. Ora hanno anticipato l’udienza preliminare a metà luglio.
«Ho una relazione sulle mie condizioni presentata al Tribunale di sorveglianza e firmata da tre cardiologi, di cui uno di Antigone, l’associazione che si occupa gratuitamente dei casi umani come il mio. Chi si occupa del mio caso ha voluto prima controllare le mie condizioni e poi fare la relazione. Ma hanno deciso di aspettare settembre come se l’incompatibilità non contasse nulla. Questa è la nostra giustizia».
Lei ha delle garze ai polsi. Perché?
«Ieri sono stato ricoverato all’ospedale Pertini. Sono tornato stamattina proprio per non mancare a questa intervista. Qui fanno del loro meglio per curarmi, ma stare in carcere per le patologie cardiovascolari che ho io è incompatibile. Questo il magistrato di sorveglianza lo dovrebbe acclarare, ma già a novembre hanno respinto la mia richiesta e tutti dicono perché mi chiamo Dell’Utri. Voglio essere trattato da persona normale, non da politico che è in carcere».
Quindi lei sostiene che per l’opinione pubblica e i magistrati nella decisione di tenerla dentro ha contato il suo nome?
«Sì, per l’opinione pubblica, ma anche per il magistrato perché io non sono un detenuto comune ma un detenuto che viene dalla politica».
Lei si considera un detenuto politico? Un prigioniero politico?
«Prigioniero è la parola più giusta. Mi considero tale. Non mi lamento. Mi faccio la mia detenzione come tutti gli altri, ma io sono certamente un prigioniero politico. E non sarei qua se non ci fosse stata la situazione di Forza Italia con tutte le sue complicazioni. C’è una sentenza in arrivo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che decreterà che la mia condanna va annullata».
Spieghiamolo. C’è un precedente importante che è quello di Contrada. Bruno Contrada, ex superpoliziotto, capo dei servizi segreti, a cui la Corte ha riconosciuto che non doveva essere condannato per il reato di «concorso esterno in associazione mafiosa», in quanto quel tipo di reato non esisteva nel codice ed è formulato in modo nebuloso.
«È così! Quindi questa sentenza annullerà la mia condanna».
Ma lei ne è certo?
«Ne sono certissimo. I tempi sono esattamente quelli considerati per Contrada. Non solo verrà annullata la condanna ma si dirà che non dovevo nemmeno essere processato! Però questo succederà purtroppo quando io ormai la pena l’ho scontata. Quindi mi darà solo la soddisfazione morale. Della condanna a sette anni ne ho già scontati 3 e tre mesi. Con le cosiddette liberazioni anticipate ho già superato metà pena e ho 75 anni compiuti».
Qualora dovesse completare il suo ciclo di detenzione quando uscirebbe?
«Se non dovesse succedere nulla prima, io dovrei rimanere qui ancora due anni».
Cosa fa tutto il giorno? Vedo che ha con se dei libri di storia moderna.
«Mi sono portato un libro perché qui bisogna sempre attendere, anche se oggi non è successo. Quindi ammazzo il tempo studiando. Siccome ho degli esami in corso perché mi sono iscritto alla Facoltà di Lettere e Storia dell’università di Bologna e il prossimo esame è di Storia moderna, non posso perdere tempo quindi mi porto sempre dietro il libro».
Quindi una seconda laurea. Lei ne ha già una in Giurisprudenza.
«Non so se arriverò fino alla laurea perché i tempi sono quelli che sono, ma io studio per conoscere».
E che media ha?
«30 e lode. In tutti gli esami che ho fatto ho preso 30 e lode. E mi ha fatto ovviamente piacere questo, ma ormai non posso andare sotto 30 e lode. Sono come un dannato. Non è facile studiare alla mia età e in questo ambiente. Qui è impossibile la concentrazione. Uno pensa che sei in carcere e sei nella tua cella come un monaco, con i tuoi libri. Invece per niente. Sono per fortuna in una cella singola perché altrimenti non potrei permettermi di studiare, però non sei mai in silenzio, perché è come se fossi nella hall di una stazione. Tutti parlano, gridano, tutti ti vengono a trovare, ti vengono a chiedere i consigli di diritto, anche se io non sono avvocato».
Ma come la chiamano in carcere gli altri “colleghi” di detenzione?
«Io ho detto esattamente di chiamarmi collega! Però mi chiamano senatore».
Quindi gode di una certa autorevolezza qui.
«Simpatia umana, che io contraccambio. Non politica. Qui di politica non parla nessuno. Di calcio piuttosto».
Lei è tifoso del Milan, immagino.
«Certo. Speriamo che gli acquirenti cinesi non ci deludano. Però qui tutti abbiamo goduto per la Juventus».
Ha gufato la Juve?
«Certo!»
E l’orgoglio nazionale scusi? La Juve rappresentava l’Italia, era l’unica italiana in finale!
«Non esiste orgoglio nazionale!»
L’opinione pubblica si è divisa. Qualcuno ha detto: turiamoci il naso e tifiamo gobbi!
«La diplomazia fa fare anche questo. Il tifoso ha festeggiato. Qui soprattutto i napoletani si sono sbronzati a gazzosa».
Mi racconta le sue giornate in carcere? Prima entrando lei mi ha detto: «Le sembrerà strano, ma qui non c’è tempo».
«È vero perché qui sei sempre impegnato in qualcosa. A parte le varie interferenze di cui dicevo prima che m’impediscono lo studio. L’esame che dovrei studiare in tre mesi mi prende il doppio. Quindi mi aspetto la laurea a 120 anni».
E la televisione la guarda?
«Sì, ce l’ho. Riceve tutti i canali più importanti, ma la guardo poco. Mi piace guardare la pubblicità, perché è lo specchio dei tempi. C’è grande creatività concentrata. Un spot pubblicitario è geniale. In 30 secondi c’è una manifestazione di creatività straordinaria. Se no guardo Rai 5 e Rai Storia. La musica e la storia. E ci sono delle trasmissioni bellissime. E poi se c’è qualche amico da guardare lo guardo».
Il dibattito politico lo segue o l’annoia?
«Non mi annoia... Mi fa ridere! Mi diverte perché è veramente comico».
Lei sa che Berlusconi è tornato carico più che mai? Ha detto: guiderò io stesso la campagna elettorale. Quindi è tornato in campo a tutti gli effetti.
«Berlusconi è un fenomeno. Ha sette spiriti come i gatti. Io lo conosco bene e questo suo ritorno me l’aspettavo».
È un po’ sparito dopo la condanna ed è anche lui in attesa della sentenza che gli consenta di ricandidarsi...
«Certo. Ed è un miracolo che sia ancora vivo, vegeto e voglioso. Solamente lui ha questa capacità. Un altro avrebbe detto: signori, grazie e arrivederci. Questa sua tigna che lui chiama spirito di responsabilità dipende dal fatto che lui si sente molto legato al fatto che molta gente crede in lui nonostante tutto. Ci sono ancora milioni di persone che lo votano. E Forza Italia esiste in quanto esiste Silvio Berlusconi. Berlusconi non lo abbatte nessuno».
Lei è stato il cofondatore dell’impero di Publitalia prima e Mediaset poi, cofondatore di Forza Italia. Dal ’94 ad oggi il partito è cambiato. Lei come la vede questa classe dirigente di Forza Italia? Com’è che tutto torna nelle mani di Berlusconi?
«Appunto! Perché? Perché è l’unico!»
Voi quando avete fondato Forza Italia avete convolto uomini di cultura come Saverio Vertone, lo storico Melograni, Antonio Martino e molti altri... Oltre alla classe dirigente di Publitalia. Ma c’è stato un ricambio in questi anni? Ci sono secondo lei i delfini?
«No. Come ho detto Forza Italia esiste in quanto c’è Berlusconi. Se non ci fosse lui Forza Italia prenderebbe pochissimi voti. E poi è Berlusconi che decide chi sono i delfini».
E Grillo e i 5 stelle, che ne pensa?
«Mi faccia un’altra domanda».
I 5 stelle e Grillo?
«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere».
Cambio la domanda. Come se lo spiega questo fenomeno dei 5 stelle?
«Con tutto quello che è successo in Italia in questi anni ci sono due partiti. Il più grande è quello di chi non vota, il secondo è quello di chi vota 5 stelle che in un certo senso ha le sue speranze. Se conoscessero un po’ di storia potrebbero riprendere dei temi della Rivoluzione francese. Loro citano spesso Rousseau, ma secondo me a sproposito. Comunque, hanno questa cosiddetta “democrazia del web” in cui sembra decida il popolo... (ride, ndr.) A me sembra che queste tematiche dei 5 stelle siano tutte da vedere. Non hanno fatto ancora niente».
Governano Roma, Torino, Livorno.
«Governano? Lei ha usato un termine impegnativo! Per me sono un mistero. Cosa saranno, nessuno lo può dire. Può darsi pure che riusciranno a fare un ribaltone della politica italiana. Ma non mi sembra che ci siano personaggi di alta statura. Io se dovessi votare voterei Berlusconi naturalmente. Ma non perché è amico mio, ma perché la penso come molta gente che dice: se non c’è Berlusconi nemmeno voto».
Ma se non ci fosse Berlusconi lei voterebbe Renzi?
«Guardi, se non ci fosse Berlusconi Renzi sarebbe la mia unica difesa».
L’ha mai conosciuto?
«No, mai. Renzi l’ho visto bene francamente all’inizio. Però poi ha un po’ deluso. Ha fatto un sacco di cappellate. Però di tutto il contesto mi sembra che sia il migliore».
Qualcuno dice che sia il Macron italiano.
«Ognuno fa i paragoni che vuole. Macron intanto è riuscito in quello che non è riuscito a Renzi, e quindi non è lo stesso. Poi Macron ha uno spessore non indifferente. Ho letto molto della sua biografia ed è una persona molto capace anche dal punto di vista culturale. È una persona molto abbiente e ha creato il suo movimento dal nulla ed è uno che prende decisioni».
Sembra Berlusconi, da come lo descrive...
«Ma Berlusconi non è in Francia e in Italia non è riuscito a governare come avrebbe voluto. Ha dovuto prendersi in carico degli alleati che non l’hanno fatto governare. La storia dice questo: Berlusconi arriva al governo, ma con Fini, con Bossi, con Casini, Follini, Mastella, non è riuscito a governare».
Oggi il tema per il centrodestra è “uniti si vince”. Berlusconi con Salvini e la Meloni; ma Salvini non è Bossi.
«Se il centrodestra è unito e vince, e probabilmente questa intuizione di Berlusconi è vera, il problema è dopo. Quando siete uniti che cosa riuscirete a fare? Questo è il punto. È anche l’anomalia del sistema elettorale italiano. Non arriveremo ad una governabilità. Arriveremo alla vittoria di qualcuno, ma non vedo come si potrà governare col nostro sistema. Se c’è il Pd con chi governa? Con quelli a sinistra che gli sono contro? Con Berlusconi?»
Non lo vede possibile un governo di unità nazionale come in Germania con Renzi e Berlusconi?
«Sarebbe auspicabile un patto nazionale intelligente, ma non è possibile. Il Paese non lo capisce. Era molto meglio il vecchio pentapartito. Si mettevano d’accordo, un po’ a te un po’ a me, i comunisti si contentavano di conquistare la scuola, la magistratura, l’informazione. Loro hanno fatto una cosa intelligentissima. Non per niente avevano un genio come Palmiro Togliatti. I ragazzi iscritti ai circoli comunisti li avviavano a quelle carriere. Dovrebbero fare un monumento a Togliatti. Facendo così ha pacificato il Paese, non ha fatto rivoluzioni, ha lasciato che la Dc governasse».
Ma qualcuno dice che nel ’94 anche voi con le vostre televisioni avete creato un’egemonia culturale!
«Non è vero. C’è stato, casomai, un primato commerciale. Egemonia
commerciale, non culturale. Berlusconi diceva sempre: “Noi il cappuccino dobbiamo venderlo a tutti, a destra e a sinistra, e non possiamo fare politica”. Politicamente le televisioni non le usava neanche».
Quindi secondo lei le televisioni non sono state determinanti nel consenso berlusconiano?
«Neanche per sogno. Le televisioni hanno incrementato la notorietà di Berlusconi, già alta per il Milan! E poi lui usava la tv per comunicare agli elettori ma il consenso c’è stato perché c’era un momento e un clima. Perché, come oggi la gente vota 5 stelle, allora votava Forza Italia!»
Le ho portato dei giornali, Corriere della Sera, Libero, il Fatto Quotidiano. Li legge?
«Sì. Certo. E sul Fatto Quotidiano ho addirittura fatto una battaglia in carcere, perché non lo vendevano. E io ho fatto una domanda alla direzione per acquistarlo. Dopo non aver ricevuto risposta dal carcere per due mesi ho scritto al giornale. Ho scritto: qui non si vende, io non sono vostro estimatore, ma lettore sì. Il direttore (Marco Travaglio, ndr) di cui non voglio neppure pronunziare il nome, non mi ha neppure ringraziato! Io sono volteriano. Come diceva Voltaire, non condivido la tua opinione ma sono pronto a morire perché tu la possa esprimere. E così il giornale è arrivato a Rebibbia. E sul giornale hanno pubblicato la mia lettera».
In un’intervista di un po’ di tempo fa lei ha detto: «Ho fatto il senatore per difendermi dai processi».
«Certo. L’ho detto e lo ripeto. Con tutto lo scandalo dei benpensanti, quando si è fatta Forza Italia non avevo nessuna intenzione di andare in Parlamento. Volevo creare il “partito azienda”. Esattamente quello di cui veniva accusato Berlusconi. Ero convinto che bisognasse creare un partito organizzato come un’azienda. Appena io ho manifestato questa intenzione L’Espresso su doppia pagina scrisse “Dell’Utri mette l’Italia sotto sopra”. Io mi meravigliai pensando che avrebbero dovuto scrivere Berlusconi, non Dell’Utri. Io non ero nessuno ma avevano individuato in me il nemico. E infatti sono stato subito indagato per fatti vecchi morti e sepolti, come lo stalliere di Arcore. Che poi era un fattore».
Le imputano anche la partecipazione al pranzo di nozze di un noto mafioso.
«Per quello ho vinto anche una causa col Fatto Quotidiano. Io in Sicilia nemmeno ci stavo. Avevo incaricato Gianfranco Miccichè di occuparsene; io mi occupavo di tutta Italia. Questo mi ha comportato comunque una serie di accuse che si sono poi concretizzate in una condanna di cui ancora oggi non capisco e non riconosco il perché. Alla fine era già finito l’effetto politica. Eppure mi hanno condannato lo stesso. Ma io voglio fare una mozione. Io apprezzo e ringrazio i giornali che si preoccupano per la mia salute, ma io mi sono accorto che qui in carcere ci sono persone che stanno molto peggio di me. In infermeria c’è una persona che ha 86 anni. Una persona destinata a chiudere qui i suoi giorni. A 86 anni non si può tenere una persona in carcere! È un fatto disumano! Non liberate me ma liberate questo povero disgraziato. Lui non ha nessuno che lo aiuti. Si chiama Benedetto Fortino. Spero che qualcuno intervenga».
Per cosa è stato condannato?
«Credo che abbia dato una forchettata ad una donna. Non è omicidio, ma qualunque cosa sia non puoi stare in carcere a 86 anni. Occupiamoci di quelli che davvero soffrono. Io soffro, ma me la cavo. Perché con la testa vado via e m’infilo magari nella storia di Carlo V. La mia vera terapia è stare con la testa fuori di qui. Qui faccio tanta propaganda. Non state davanti alla tv, ma leggete. Non volevo che questi anni qui dentro passassero senza niente. Il mio compenso è lo studio».
Si spengono le luci. Smontiamo le telecamere. La guardia ci accompagna all’uscita. Dell’Utri mi guarda e dice: «Vedi la differenza... Ora tu esci, io invece resto qua!»