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 2017  luglio 07 Venerdì calendario

Intervista al regista Ridley Scott: «La storia di Getty dramma italiano e di una famiglia»

Il set al centro di Piazza Navona è già un film nel film. Assediato da turisti e curiosi, Ridley Scott gira la scena iniziale di All the Money in the World, ricostruzione del rapimento di Paul Getty III, nipote del petroliere miliardario fondatore della Getty Oil. Nel cuore di una notte romana di mezza estate, era il 10 luglio 1973, il rampollo sedicenne della celebre casata viene rapito in Piazza Farnese dalla ’ndrangheta calabrese, che pretende un riscatto di 17 milioni di dollari. Ma la trattativa è lunga e dolorosa perchè il vecchio patriarca (interpretato da Kevin Spacey) non ha nessuna intenzione di intaccare il suo immenso patrimonio per salvare la vita di quel nipote figlio dei fiori che, nella capitale, viveva la sua giovinezza dorata, tra ragazze, spinelli, collanine vendute per strada: «Ho 14 nipoti – dichiarò gelido il nonno – se comincio a pagare per uno, mi rapiscono anche gli altri». Quattro mesi più tardi, per spingere la famiglia a versare la quota, i rapitori inviarono alla sede del quotidiano Il Messaggero una busta contenente l’orecchio mozzato dell’ostaggio. Un mese dopo, in cambio di un miliardo e 700 milioni di lire, Paul Getty è libero, ma anche segnato per sempre dalla violenza subita e costretto, secondo gli accordi con l’anziano magnate, a restituire a rate, con l’interesse del 4%, la cifra ceduta alla ’ndrangheta. La sequenza girata da Scott, proprio accanto alla Fontana dei quattro fiumi, mostra l’avvio di una delle tante notti folli vissute da Paul e dai suoi amici. Si vede un nugolo di paparazzi che insegue una coppia celebre fino all’ingresso di un hotel, macchine d’epoca parcheggiate lungo il marciapiede e Paul (Charlie Plummer) che in gilet e pantaloni a zampa d’elefante passeggia con un gruppo di ragazze, immerso in una nuvola di marijuana. Un attimo dopo la sua vita cambierà per sempre, e l’unica a battersi per lui, fronteggiando l’aridità familiare, sarà la madre Gael Harris (Michelle Williams), all’epoca proprietaria di una boutique in Piazza di Spagna. Nel film, girato in otto settimane, tra Roma e Londra con una puntata in Giordania, prodotto da Imperative Entertainment e Scott Free Production, distribuito in Italia dalla Lucky Red di Andrea Occhipinti, recitano anche Mark Wahlberg nel ruolo del negoziatore della Cia e Marco Leonardi in quello del capo dei banditi. La data d’uscita non è stabilita, ma si immagina che almeno in Usa la pellicola esca entro l’anno, in tempo per correre agli Oscar.


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Nei saloni del Museo di Palazzo Braschi, dove trionfano le forme della Roma rinascimentale, il regista di Blade Runner e di Alien Covenant Ridley Scott spiega che cosa l’ha spinto a portare sul grande schermo la cronaca di una vicenda sanguinaria ambientata nell’Italia degli Anni Settanta, sospesa tra i divieti dell’austerity e la minaccia del terrorismo: «Mi interessava raccontare una storia vera incardinata in un particolare quadro sociale».
Come è nato il progetto?
«Stavo viaggiando verso l’Australia, per le riprese di Alien Covenant, ho letto in volo il copione di David Scarpa, c’era ritmo, c’era la forza degli avvenimenti. Da quel momento ho continuato a pensarci: è una cosa importante, che non succede spesso».
Che cosa l’ha attratta del rapimento Getty?
«Quell’evento era la tessera di un mosaico in cui avevano un peso il periodo storico italiano, la figura del nonno e i complicati equilibri su cui si reggeva la famiglia Getty. Un nucleo che davanti alla tragedia crollò subito».
Gli eredi hanno preso parte alla realizzazione del film?
«No, la famiglia non è stata coinvolta, il materiale a disposizione era sufficiente. E se avessimo interpellato i Getty, avremmo corso il rischio di essere bloccati».
L’Italia stava vivendo una fase critica, il film la descrive?
«Certo, era un periodo in cui i rapimenti erano all’ordine del giorno, la Sardegna era diventata una zona talmente a rischio che ne risentì anche il turismo: i ricchi, non solo americani, avevano paura di andarci. I sequestri erano facilitati dalla geografia del territorio, una natura bellissima, ma aggressiva e misteriosa».
Il film si chiama «All the Money in the World». Perchè?
«È una frase idiomatica, “Tutto il denaro del mondo”, ha un senso lato; l’altra ipotesi in ballo era “Getty”, ma l’abbiamo scartata perchè avrebbe avvalorato l’idea che stessimo facendo un biopic».
Come sarà raccontata la personalità del rapito?
«Era un bel ragazzo, molto giovane, che stava esplorando la rivoluzione del diventare adulto e faceva uso di droghe. A capirlo ci hanno aiutato le sue lettere. Sappiamo anche che durante le ricerche la polizia considerò perfino l’ipotesi che il sequestro fosse stato gestito dallo stesso Paul, con l’obiettivo di appropriarsi di una parte del bottino».
Avete utilizzato materiali di repertorio?
«Non ce n’erano tanti, almeno in video. Sicuramente userò l’intervista rilasciata dalla madre di Paul per convincere il nonno a tirar fuori i soldi».
Che tipo di donna era?
«Un’ottima nuotatrice, molto decisa, aveva scelto presto di vivere lontana dalla famiglia Getty, che stava a San Francisco, con uno stile esistenziale diversissimo».
La interpreta Michelle Williams, perchè ha scelto lei?
«È piena di talento, e io volevo una persona intelligente e sensibile che sapesse ritrarre una donna capace di essere dura, se le circostanze lo richiedono. E per Gail fu così».
Kevin Spacey è il nonno.
«Ha letto la sceneggiatura tredici mesi fa e ha accettato subito la parte. Era la prima scelta, perfetto per il ruolo».
Come affronta da regista le diverse materie della fantascienza e della verità?
«Molto semplicemente. Non è la prima volta che lo faccio e non sono solito fare troppe ricerche. Quando ho girato Il gladiatore c’era chi temeva che non ci sarebbe stata accuratezza storica, e invece... La mia fortuna è che sono andato a scuola a lungo. Ho una memoria fotografica, ho imparato tanto».